Anno 1330, quando Santa Croce si sottomise a Firenze

di Valerio Vallini
Quando i 12 probiviri santacrocesi, nel dicembre dell’anno domini 1330, guidati, come pare, da Guccius Nerii de Sancto Miniato, sbucarono nella piazza della Signoria e alzarono gli occhi fino alla sommità della torre di Arnolfo di Cambio, non poterono trattenere un “ohhh” smisurato come farebbe oggi una contadina del Kansas.
I nostri venivano da un contado molto più vicino, dopo un percorso avventuroso per fiume Arno e per terra. Avevano lasciato il loro castelluccio di novecento anime difeso da qualche sparuta torre, e si erano imbarcati all’alba al porto del Callaione occidentale in prossimità della chiesa di San Vito. (Invano amico lettore cercheresti questa chiesa: sue pietre fanno da fondamenta a qualche villetta di conciaiolo).
Si erano avventurati su un navicello del tempo, risalendo il fiume da Fucecchio, Empoli Vecchia, e il masso della Gonfolina, fino al porto di Signa. Di là per la via pisana, l’antica Quinzia romana, a cavallo, con un salvacondotto della Repubblica Fiorentina, giunsero in prossimità di Firenze al tramonto, stanchi e affamati, e sostarono ad un ostello Hospitale in “Burgo Sancti Fridiani”. La mattina si avviarono nel centro di Firenze tutti presi dal compito solenne che li attendeva: la firma dell’atto di sottomissione del comune e della terra di Santa Croce vallis Arni alla Repubblica Fiorentina.
Sottomissione dignitosa, rispettosa, orgogliosa di certe autonomie, ma pur sempre sottomissione alla dominante. Così sarebbero cessate le mire lucchesi e pisane, e anni di guerricciole per i confini e per i ponti e mulini sulla Gusciana. Si profilavano anni di pace con Fucecchio e Castelfranco e una divisione pacifica delle Cerbaie sotto la protezione della potente torre di Arnolfo. Come vedremo e come i nostri lettori sapranno, negli anni a venire non scorrerà tutto liscio, ma quel mattino di dicembre fu radioso.