Castrazioni, frustate e roghi nella Santa Croce del Trecento



di Valerio Vallini
Quando ai pederasti si estraevano i testicoli e la bestemmia era punita a frustate pubbliche. Non meno severe erano le pene per i piromani: “Se qualcuno avvia un incendio o lo fa appiccare in altro edificio della città, nel comitato o distretto di Firenze, tutti i suoi beni saranno scritti e tolti…e se catturato bruciato pubblicamente; e se non lo possono prendere che sia bandito in perpetuo e sia iscritto nei libri dei banditi; e se fugge in un’altra terra il Podestà tenga quella terra o luogo (informata) per lettere e ambasciatori…e sia punito con lire 50 e se non pagherà entro dieci giorni, gli sarà accorciata (abscidatur) la mano destra.”
Tutto era codificato direttamente o indirettamente, negli statuti della Santa Croce del Trecento che recepivano le disposizioni fiorentine, anche se non si hanno notizie di esecuzioni di simili pene. Allora non si distingueva fra reato e peccato, cosa che durerà per molti secoli a venire; anzi ciò che era peccato era sic et simpliciter considerato reato in gran parte dell’Europa cristiana. Comunità autonome e soggette recitavano gli statuti della Firenze del trecento al tempo dei Machiavelli. Proprio un Machiavelli: “provido viro” Boninsegna Filippi de Machiavellis, membro del Consiglio dei cento della Repubblica fiorentina, in quei tempi, figura come magistrato in una Approbatio (approvazione) degli statuti di Santa Croce del 1373. Santa Croce rivestiva allora, per la politica di espansione fiorentina nel Valdarno, una notevole importanza strategica. Quindi Comunità autonoma. Ma quale autonomia era data a questo piccolo comune – neppure un migliaio di anime – da poco cinto di mura confinanti con l’Arno? In base alla speciale posizione di Santa Croce: Arno, Usciana, via Pisana,
Francigena, i fiorentini sopportavano anche le bizze dei santacrocesi come quando nel 1308 quegli attaccabriga, sentendosi spalleggiati dai lucchesi, rifiutarono di accogliere nel castello truppe fiorentine mercenarie rimproverando alla dominante “di non aver mai murato un mattone né pagato un lupino.” Di questo i fiorentini si rifaranno in seguito con una bella multa. Ma allora Santa Croce poteva permettersi certe licenze. Ad esempio, sempre per disposizioni dei patti di sottomissione, nel 1330, nessun fiorentino poteva prendere una potestà o capitaneria a S.Croce; per il porto delle armi era stabilito: “nessuno di Santa Croce o in essa dimorante ‘osi o presuma di portare armi nei giorni solenni o festivi se non legate”. Particolare cura era riservata alla salvaguardia del bestiame e delle biade; gli “Arginieri” dovevavo assicurare la tenuta degli argini e delle strade e dei fossi. Molte cose ci sarebbero da aggiungere ma qui si vuole sottolineare l’importanza autonoma della piccola terra riguardo al dovere di custodia delle porte e delle mura: “…ogni cittadino, esclusi vecchi e bambini era tenuto a fare guardia diurna e notturna pena l’impossibilità di accedere a cariche pubbliche.”
La Santa Croce del Trecento, insomma godeva di una posizione privilegiata insieme alle terre di Castelfranco e Montopoli. I tempi cambieranno velocemente ma allora, per Santa Croce fu un periodo particolarmente felice che non durerà molto. Già le pesti e le guerre e la miseria erano dietro l’angolo.