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“Non si produrrà più quanto prima. Dobbiamo avere le idee chiare per ripartire”: protocolli, prospettive e mercato aspettando la fase 2

17 aprile 2020 | 22:20
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“Non si produrrà più quanto prima. Dobbiamo avere le idee chiare per ripartire”: protocolli, prospettive e mercato aspettando la fase 2

Conceria e calzaturiero sperano di riaprire entro aprile. Di prodotti, lavoro e sicurezza abbiamo parlato con la Cgil

“Non si potrà più produrre quanto si produceva prima, questo è certo. Ma è anche un problema, soprattutto per il conto terzi che ha bisogno di tanti pezzi per guadagnare. Non possiamo neppure pensare di riportare al lavoro, tutte insieme, 6mila persone nel Distretto da un giorno all’altro”. Da giorni, a livello locale e nazionale, istituzioni, sindacati e imprenditori del settore della concia sono al lavoro per tornare al lavoro.

Perché, lo sentiamo dire da giorni, il punto non è quando si aprirà, ma come. Nessuna delle due cose, al momento, è particolarmente chiara. Imminente dovrebbe essere una conferenza del premier Giuseppe Conte sui settori e le direttive nazionali da seguire per riaprire. Su queste e in previsione di queste, Unic e sindacati sono al lavoro per produrre un protocollo di settore. Che non sarà sufficiente, però, perché come ha già fatto per le aperture di librerie e negozi di abbigliamento per l’infanzia, la Regione Toscana potrebbe decidere di agire con altre previsioni.

Per strada intanto, in molti lo hanno notato, sembra esserci più traffico rispetto alla scorsa settimana. “Ma le concerie – garantisce la Cgil – sono chiuse. A livello nazionale ci può essere qualcuno che ha magazzino e con le condizioni di sicurezza necessarie manda via qualche pezzo standard, ma è davvero poco. Più che altro, si lavora per la ripartenza, per chiarirsi le idee e per essere pronti quando sarà, perché non si tratta solo di distanze di sicurezza, sanificazione o dispositivi di protezione individuale”.

C’è da ripensare un Distretto, in pratica, con qualche direttiva e un po’ di consapevolezza, ma con un margine di incertezza ancora troppo ampio, specie per un comparto che è, in pratica, una filiera intera.

“Bisogna trovare una quadra certo – spiegano Loris Mainardi e Alessandro Conforti della Cgil Pisa – ma è necessario che chi va al lavoro sano, torni anche a casa sano perché la salute resta la priorità, ma anche perché una nuova ondata di contagi sarebbe un clamoroso bumerang e richiederebbe una chiusura ulteriore e quindi la ‘morte’ del Distretto”, che perderebbe anche la stagione estiva. Primo presupposto, è che in ditta torni meno gente possibile.

“Gli uffici”, per esempio, potrebbero continuare a lavorare da remoto “perché è impensabile che migliaia di persone entrino ed escano dal Distretto più volte al giorno”. Da qui un’altra proposta: orario intero con pause anziché lo spezzato, per diminuire le occasioni di contagio e anche i tempi di vestizione e svestizione.

Stando alle ultime regole per le riaperture in Toscana, le aziende dovrebbero garantire la separazione tra percorsi di entrata e uscita e la sanificazione obbligatoria anche per le concerie che l’hanno già fatta in chiusura, compresa quella delle condutture di aerazione. Oltre che mascherine e gel in quantità.

Al momento, l’apertura della filiera di pelle e cuoio è rimandata a oltre il 3 maggio, data di fine lockdown, ma anche sulle pressioni della filiera moda, potrebbe essere anticipata al 27 aprile. Qualche giorno prima, magari, solo per i reparti che servono “a preparare” l’eventuale riapertura. Per ora però, fino alla conferenza del Premier, si ragiona sulle ipotesi. O si punta alle deroghe prefettizie.

“Nessuno fa i dispetti agli imprenditori – precisano Mainardi e Conforti -, siamo tutti contenti di ripartire presto sia per i lavoratori che per l’economia, ma solo se si può fare in un certo modo, perché la fase di convivenza con il virus sarà lunga e non possiamo improvvisare sulla vita della gente“.

Con tutta la buona volontà, però, “alcuni segmenti della filiera, strutturalmente, saranno in difficoltà ad applicare queste regole proprio per la conformazione stessa della lavorazione e del processo”. Su turnazioni, spogliatoi e dispositivi di protezione individuale, le aziende stavano lavorando già prima della chiusura forzata. Ma adesso servirà la formazione per utilizzarli al meglio e soffrendo il meno possibile. Almeno in alcuni settori poi, serviranno forse occhiali e tute e di certo bisognerà usare di più la tecnologia, ad assistere in particolare gli scambi tra aziende e la parte di trasporti e logistica, che dovrà essere meno fluida tra un’azienda e l’altra.

Una serie di piccoli sforzi all’inizio, che dovranno diventare abitudini virtuose, con il distanziamento sociale e la massima igiene personale e dei luoghi come stella polare. “E’ chiaro che in queste condizioni – precisa Mainardi -, la produttività deve calare per forza. Riaprire serve a rimettere in moto un meccanismo e si andrà piano anche perché mancano gli ordini. Però si dovrà continuare ad andare più piano anche quando gli ordini arriveranno”.

E gli ordini sono il motore che sta spingendo gli imprenditori a chiedere la riapertura. “Il problema principale è per il calzaturiero – precisa Conforti – perché adesso dovrebbe preparare la campionatura per l’estivo o, dopo aver perso quasi tutto l’invernale, perdere l’estivo significherebbe stare fermi fino a settembre”.

Un rischio costoso da correre, perché se gli Stati Uniti sono fermi e quindi anche il mercato americano, la Cina e la Spagna sono ripartiti e la concorrenza fa paura. Anche se qualche stilista si è già detto disposto ad aspettare l’Italia. Il punto, anche qui, è: fino a quando?

“La riapertura della Spagna – spiegano – di certo ha messo più fretta, perché si tratta sempre di mercato europeo. Però pensiamo anche che i compratori che vogliono questa pelle qui, la trovano solo qui. Se si ripartisse adesso, anche subito a maggio, la Concia salva anche un po’ dell’invernale. Il punto però credo sia un altro: con il mercato Usa fermo, anche se gli acquisti dalla Cina ripartissero, il magazzino pronto per l’America andrebbe in Asia e quindi i nuovi ordini non arriverebbero comunque. E la Cina rappresenta il 30 per cento del mercato: il resto mancherebbe lo stesso”.

In pratica, è quasi inutile riaprire le aziende produttive se non si riaprono i negozi, perché la spinta agli acquisti è anche un po’ psicologica: posso fare a meno di una nuova borsa di ottima pelle se sto chiusa in casa. E questo, in qualche modo, è anche il freno all’e-commerce.

Riaprire però, sarebbe un segnale e anche un modo per dare il là all’attività, magari lavorando sui campioni e sulle preparazioni. Di certo, però, tutto insieme e tutti insieme è al momento impensabile.

E di certo, regole e protocolli – visto che non c’è niente di simile come precedente – dovranno essere rimodellati sulla base dell’esperienza. “A Santa Croce – sottolinea fiera la Cgil – c’è un distretto etico e quindi ci ritroveremo ad attività aperte per ragionare sui protocolli e su come migliorarli, con quello come punto minimo. Poi dobbiamo tenere conto delle specificità del distretto e dei suoi lavoratori”.