
“Arte, artigiano e artigianato hanno la stessa radice. Bisogna smettere di giocare a fare gli industriali senza valorizzare la cultura”. Queste sono le parole di Simone Remi, presidente di CasaConcia, lo spazio allestito per affiancare la cultura e l’arte alla produzione conciaria. Ieri (1 dicembre) CasaConcia ha ospitato l’associazione culturale Cento Lire, che ha presentato alcune letture tratte dalle pubblicazioni dell’associazione interpretate dai ragazzi e dalle ragazze del Cattaneo di tutte le età.
“Annualmente viene organizzato un concorso rivolto a tutte le età e ci sono categorie differenziate dai bambini agli anziani, tutti possono partecipare – commenta Lorena Benvenuti, presidente dell’associazione –. La particolarità di queste iniziative è vedere come uno stesso argomento trattato a seconda dell’età, focalizza aspetti diversi e viene scritto in un certo modo”. Lo scopo dell’associazione Cento lire è quello di valorizzare le risorse del territorio e arricchirlo. “L’associazione – continua Benvenuti – ci tiene ad organizzare progetti anche per gli adulti, che di solito vengono esclusi da queste iniziative. I nostri eventi servono anche ad accrescere l’autostima delle persone che riscoprono di avere delle potenzialità. Abbiamo bisogno di più iniziative culturali”. L’associazione Mille lire ha contribuito anche alla pubblicazione di ritratti dei paesani di una volta per le strade di Ponte a Egola, un modo per ritrovare le radici con il territorio e con la storia locale. “Casa concia – spiega Remi – è uno spazio espositivo del consorzio Vera pelle che viene concesso ad associazioni, personaggi della cultura, scrittori, sociologi, sondaggisti. Casa concia si occupa di fumetti, musica, teatro e le iniziative che ospitiamo poi vengono portate in tutto il mondo insieme al percorso itinerante che facciamo presentare il nostro prodotto. Il nostro consorzio si occupa di pelle conciata al vegetale, cioè il pellame storico come veniva fatto agli inizi. La pelle conciata al cromo è venuta dopo, dalla metà dell’Ottocento perché è molto più veloce e meno dispendiosa, ma qualitativamente quella vegetale è di gran lunga superiore”. Il settore conciario è un baluardo del made in Italy che viene messo a dura prova dalla stringente regolazione ambientale – sacrosanta – e dalla burocrazia. “La colpa dell’inquinamento prima di tutto è nostra come cittadini. Dobbiamo spendere di più e consumare di meno se vogliamo un prodotto di qualità, il marchio, oltre all’etichetta ha bisogno di un suo stile di vita. Nel cuoio manca questa politica etica. In Italia devi pagare lo smaltimento, la regolazione dei lavoratori, – che per carità, non va toccata – la regolazione della sicurezza, tutti questi sono costi sacrosanti, ma che ricadono sul prodotto finale. Il nostro, dunque, sarà sempre un prodotto più caro rispetto a chi decide di delocalizzare la produzione, ma questo è il vero made in Italy. Oggi non ci crede più nessuno nel made in Italy perché è stato abusato come concetto”.