Non è una semplice riproposizione del passato, ma piuttosto l’orgoglio e l’identità di una storia che merita di essere conservata, tramandando un patrimonio di valori destinato altrimenti a perdersi nei racconti dei più anziani. C’è tutto questo nella sfilata storica che da trent’anni caratterizza il Palio dei barchini. Un obiettivo che aveva animato fin da subito gli ideatori del Palio, a partire dall’indimenticato Marcello Conti. Uno spettacolo unico, forte di circa 500 figuranti che questa mattina, per le strade di Castelfranco, hanno messo in scena quattro momenti diversi della storia del paese.
San Bartolomeo a Paterno: “Il novo regolamento del 1891 per il meretricio a Castelfranco“
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I rossoblù di San Bartolomeo hanno portato in sfilata un tema finora mai affrontato: quello della prostituzione, partendo dal Regio Decreto che nel 1891 introdusse nuove regole per l’esercizio del meretricio, stabilendo l’obbligo della visita sanitaria per le ragazze, l’abbassamento dell’età minima delle prostitute da 21 a 18 anni, ma anche un preciso tariffario per i clienti. Come tutti i paesi dell’epoca, anche Castelfranco aveva la sua ‘casa di tolleranza’, come ricorda il toponimo di ‘via del calore’ con cui molti anziani chiamano ancora oggi l’attuale via Dante. La sfilata si articola in tre scene: nella prima viene rappresentato il battibecco tra moglie e marito, con quest’ultimo intenzionato ad uscire per fare un ‘salto’ nella casa chiusa del paese. Nella seconda viene offerto lo spaccato di una locanda dell’epoca, dove le ragazze adescavano i clienti per condurli nelle camere al piano superiore. Infine la scena di un controllo di polizia in una delle camere, con una prostituta arrestata e portata in un ‘dispensario pubblico’ per non aver superato la visita sanitaria, di fronte ad una folla preti, suore e mogli scandalizzati e insieme incuriositi. (continua a leggere dopo le foto)
San Pietro a Vigesimo: “La corsa dei carretti a Castelfranco in occasione della visita di Garibaldi nel 1867”
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I biancoazzurri di San Pietro a Vigesimo hanno riproposto la visita di Giuseppe Garibaldi nel luglio 1867, soffermandosi però sulla festa che il Comune di Castelfranco organizzò per celebrare il 60esimo compleanno dell’Eroe dei due Mondi. Il 4 luglio, infatti, nel giorno del suo compleanno, Garibaldi era alloggiato nell’attuale Villa Cavallini in via Gasperi, ospite del generale Luigi Stefanelli. Per festeggiarlo, come ricordano i documenti dell’epoca, la giunta comunale organizzò una corsa di carretti per le vie del paese, con il popolo in festa e un tripudio di bandiere tricolore.(continua a leggere dopo le foto)
San Martino in Catiana: “I granatai”
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I verdearancio di San Martino hanno portato in sfilata una delle antiche attività dei castelfranchesi: quella dei cosiddetti ‘granatai’, gli artigiani impegnati nella realizzazione delle classiche scope di saggina, che in Toscana sono chiamate appunto ‘granate’. I contradaioli, infatti, hanno scovato nei documenti degli anni ’30 del Novecento la nascita della prima fabbrica di granate nell’attuale piazza XX Settembre. Le campagne intorno al paese era già divenute da tempo zone di coltivazione di saggina, da cui si ricavava la granella come foraggio per gli animali, mentre il fusto era utilizzato per realizzare le scope che venivano poi vendute in tutto il comprensorio. Numerose furono le aziende a gestione famigliare specializzate in questo tipo di lavorazione, messa in scena da San Martino ricostruendo le tecniche e gli strumenti di allora: dopo averle inumidite, le manne di saggina venivano chiuse nello zolfatoio per un’intera notte, prima di passare alla spelatura, alla pulizia e al definitivo ‘montaggio’ delle scope. (continua a leggere dopo le foto)
San Michele in Caprugnana: “Il brigante Orcino”
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Una storia che ruota tutta nelle Cerbaie, invece, quella portata in scena da San Michele. È la storia di Raffaello Picchi, detto l’Orcino, capo di una banda di briganti che nella prima metà dell’Ottocento divenne il terrore dei possidenti e dei viandanti che percorrevano l’antica via Romea, tenendo a lungo in scacco la la giustizia del Granducato e dello Stato di Lucca. Arrestato a Bientina ed esiliato per un periodo in Corsica, l’Orcino morì nel 1855 nel carcere delle Murate a Firenze, alimentando una fama che si mescolò fin da subito con il mito. Dopo la sua morte, infatti, un emigrato in America che aveva condiviso cella con lui, raccontò che l’Orcino gli aveva rivelato di aver sepolto il frutto delle sue rapine vicino al vecchio cimitero di Orentano, non lontano dalla casa di una delle sue tante amanti. Da allora molti hanno cercato senza successo il suo tesoro. (continua a leggere dopo le foto)
testo, foto e video di
Giacomo Pelfer