





Una macchina “avveniristica”. Anzi, una “micromacchina”, fatta per affrontare la città, ma anche per permettere a tutti, ma proprio tutti, di potersi permettere una specie di automobile negli anni del boom. Doveva essere a benzina, anzi, sarebbe stata elettrica. E’ da queste poche intuizioni che a metà degli anni Sessanta due personaggi a loro modo visionari, in un Comprensorio del Cuoio che ormai sfavillava dei bagliori dell’industria, misero in cantiere un’auto che ebbe del futuribile: l’Urbanina.
A idearla il Marchese Pier Girolamo Bargagli Bardi Bandini, proprietario di numerosi terreni ed edifici a Santa Croce fra cui l’imponente villa di Poggio Adorno, insieme allo staffolese Narciso Cristiani. Una storia che sarà ripercorsa il prossimo 21 aprile in un convegno proprio alla villa dove tutto iniziò, grazie all’organizzazione della neonata associazione “L’auto elettrica tra passato e futuro” ed il Movimento Shalom, fondato da don Andrea Cristiani (figlio di Narciso) con la collaborazione dei comuni di Fucecchio, Castelfranco e Santa Croce. “Non esiste una macchina d’epoca più moderna dell’Urbanina” ricorda oggi don Andrea, che negli anni in cui il progetto decollava (ne furono venduti 700 esemplari) era appena un ragazzo. “Quelle di mio padre e del marchese erano due menti avanti di oltre mezzo secolo. Un’epoca in cui parlare di auto elettrica era fuori dalle concezioni, non a caso tutto finì poi nel dimenticatoio. E’ bello vedere che ancora oggi qualcuno si ricorda di quella passione e di quelle idee”.
Storia
All’inizio fu la Iso Rivolta, leggendaria casa automobilistica genovese, a porsi a metà degli anni ’50 il problema di una piccola macchina da città, una “micromacchina” comoda, parcheggiabile ovunque, che fondesse comodità e caratteristiche di un’auto (il modello, all’epoca, era la Topolino) e delle motociclette. Un problema che anche la Piaggio in quegli anni si pose con la Vespa 400 e che i due santacrocesi, invece, cominciarono risolvere a modo loro fra 1965 e 1967, con un’idea che poteva sembrare bislacca ma che risolveva numerosi problemi: una struttura a carrozzeria “rotante”. All’origine il Marchese e Narciso volevano realizzare una piccola auto a benzina per le città, che proprio in quesgli anni stavano diventando caotiche. La scelta di dotare una vettura di piccole dimensioni di una carrozzeria girevole rappresentava un’idea geniale perché avveniristica e lungimirante.
I primi prototipi avevano un telaio a X, con quattro ruote di diametro ridotto alle estremità. Il telaio sosteneva un pianale circolare su cui era fissata la carrozzeria di forma cilindrica (in vetroresina nella versione “normale” e addirittura in vimini nella versione “estiva”). Tuttavia la carrozzeria poteva ruotare, in quanto fulcrata sul pianale. L’accesso alla vettura era quindi possibile da ogni lato e i posti erano due. Il motore definitivo fu un Innocenti Lambretta da 198 cc con una potenza di 11 CV che permetteva una velocità massima di 86 km/h ed un’autonomia di 180 km. Il secondo colpo di genio vi fu però nel ’67, quando i due inventori decisero di optare per la trazione elettrica, non fatta per motivi ecologici (una sensibilità che sarebbe nata circa 15-20 anni dopo), ma soprattutto per avere una vettura che fosse silenziosa e dai consumi ridotti all’osso. Le prime vetture elettriche erano dotate di un motore a corrente continua da 700 W, che in origine doveva essere il motore d’avviamento dei camion FIAT. Anche le batterie erano quelle in dotazione a questi mezzi e fornivano circa 11 Ah di energia, sufficienti per permettere una velocità di circa 30 km/h ed una percorrenza autonoma di 40 km.
Prestazioni che costrinsero la produzione a fare modifiche e migliorie negli anni: nel ’68 un nuovo gruppo propulsore ed un motore da 1000 W della Bosch, le batterie elettriche Tudor da 250 Ah; nei primi anni ’70, ancora, un motore più potente, da 2000 W. Il tutto per prestazioni che però, mentre il mercato delle auto avanzava a passi da gigante, restavano inchidate ad un’indutria ed una tecnologia delle batterie ancora non sviluppata. Fra tutti i paesi europei dove le microvetture si diffusero, solo la Germania vi puntò in maniera più massiccia, senza però che il concetto e le sue concretizzazioni pratiche superassero gli anni ’70. Idee e concezioni che saranno poi rispolverati solo a metà degli anni ’90 e poi in quelli 2000 dalle grandi case automobilistiche.
Il convegno
Il primo convegno dedicato al tema si terrà alla villa di Poggio Adorno il 21 aprile dalle 16 alla presenza di numerosi testimoni dell’epoca, fra cui anche alcuni di coloro che lavorarono alla produzione dei mezzi. Fra i presenti don Andrea Cristiani, Letizia Bargagli Bardi Bandini, Roberto Giannoni ed Alessandro Valiani, del Gruppo Valiani che si sta occupando proprio in questi giorni del restauro di due Urbanine. Ad intervenire sul tema “Viaggio nel rispetto del creato” anche Mons. Andrea Migliavacca.
Nilo Di Modica