
Fatto il primo consiglio di amministrazione della Cassa di Risparmio di San Miniato dell’era francese, dove la Fondazione è stata segregata nel ristretto 5 per cento dei piccoli azionisti confermando di fatto che il territorio ha perso il controllo della banca, per ripristinare un’apparente pace a San Miniato rimane da colmare il vuoto lasciato dalle dimissioni di Mario Marinella, figura di cui probabilmente molti non hanno rimpianto, ma che comunque ha in qualche modo marcato il punto di non ritorno nel superamento di una situazione ingarbugliata e difficilmente gestibile per la banca e quindi per la Fondazione.
Un vuoto che si colmerà solo quando sarà nominato il nuovo presidente. Proprio su questo passaggio, l’organo di indirizzo sta lavorando per trovare una soluzione in tempi brevi e varie indiscrezioni trapelate negli ultimi giorni dagli ambienti della Fondazione parlano di Gianfranco Rossi come possibile e molto probabile nuovo presidente. Una scelta apparentemente in continuità con il presidente dimissionario, visto che si tratterebbe dell’attuale vicepresidente che sale allo scranno presidenziale, ma che in realtà in molti sperano marchi un passo diverso da quello del suo predecessore, cosa probabilmente inevitabile vista la profonda differenza di condizioni economiche che si troverà a gestire proprio in virtù anche della limitatezza economica in cui verte, a questo punto, la Fondazione. Rossi, sanminiatese doc anche se portato dalla vita ad abitare nell’interland fiorentino, non ha mai perso i legami con il territorio. Una persona di formazione tradizionale, apprezzata da molti anche se forse non da tutti e da cui quei molti si attendono varie cose, non tanto in termini economici quanto in termini di cambio di indirizzo. La scelta sarebbe caduta su Rossi proprio dopo una valutazione di nomi dove qualcuno aveva provato ad avanzare la candidatura di Marzio Gabbanini, primario in pensione, medico molto conosciuto, da molti anni impegnato nel settore culturale attraverso il Dramma Popolare e fratello dell’attuale sindaco di San Miniato Vittorio. Il nome di Gabbanini, a patto che avesse accettato, si porterebbe dietro due ordini di problemi: una possibile incompatibilità per il fatto che è appunto fratello dell’attuale sindaco di San Miniato, il secondo perché il nuovo corso della fondazione dovrebbe avere secondo alcuni più una vocazione ‘sociale’ e meno culturale nei limiti degli ordinamenti. Rimane poi il fatto che Marzio Gabbanini probabilmente avrebbe declinato l’invito perché proiettato verso altri possibili incarichi, magari verso una carriera politica che potrebbe partire dalla tornata elettorale del 2019, magari proprio nella vicina Montopoli nella corsa per la poltrona di sindaco, ma su quest’ultimo punto è presto per capire con esattezza cosa accadrà e siamo nell’ambito delle ipotesi.
Tornado alla Fondazione, il nuovo presidente, sia che l’organo di indirizzo punto si Rossi come tutto farebbe pensare, o che alla fine la spuntino altri, si troverà ad affrontare una realtà nuova, con una Fondazione che potrà contare su risorse che neppure lontanamente ricordano quelle di un paio di anni fa. Dal 53 per cento delle quote della banca infatti ora il pacchetto della Fondazione è sceso al 2,4 per cento, la speranza è che i francesi facciano presto a rilanciare la San Miniato o ciò che ne rimarrà e che il piccolo pacchetto azionario rimasto alla Fondazione possa cominciare a produrre un po’ di utili dai dividendi, ma comunque sia serviranno un po’ di anni per riavere una fondazione in grado di elargire cifre importanti al territorio.
Poi c’è la questione dell’indirizzo. Molti sperano che il nuovo presidente dia una vocazione più sociale alla Fondazione, ma anche più rivolta al territorio e magari con un maggior dialogo con le istituzioni e le realtà locali, di quanto non abbia fatto Marinella, secondo molti piuttosto lontano dai sindaci e dal territorio. Proprio Marinella infatti dopo aver retto per poco meno di due anni, si sarebbe dimesso perché in urto con la scelta della banca di dare a Gronchi l’incarico di presidente, ma anche per altre ruggini che probabilmente si sono venute a creare con il banchiere, nel corso dell’ultimo anno e mezzo, forse proprio sulla scelta delle strategie di salvataggio. Di sicuro c’è che Marinella, in occasione del concerto di Natale in San Domenico, quello offerto dalla Fondazione che ha chiamato a cantare Alice, nel suo discorso non ha risparmiato parole dure e di biasimo, senza specificare verso chi ma lasciando intendere un profondo risentimento per le scelte fatte. Ma questo ormai fa parte della storia, di una storia che ha visto prevalere determinate logiche che hanno di fatto consegnato la banca in mani transalpine, lasciando ben poco di quel pacchetto azionario della Fondazione che rappresentava fattivamente il legame tra banca, finanza e territorio.
Gabriele Mori