Un anno senza Raghi tra dolore e vicinanza alla famiglia

13 dicembre 2017 | 23:24
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Un anno senza Raghi tra dolore e vicinanza alla famiglia
Un anno senza Raghi tra dolore e vicinanza alla famiglia
Un anno senza Raghi tra dolore e vicinanza alla famiglia

Era una serata fredda quella del 15 dicembre di un anno fa. Un freddo pungente, umido, di quello che ti penetra addosso attaccandosi alle ossa. Una serata gelida nel buio di via Maremmana a La Serra, su quell’asfalto dove fu trovato il corpo senza vita di Raghi Cioni, travolto e ucciso da un veicolo pirata mentre era in sella alla sua inseparabile mountain bike (Ciclista di 30 anni travolto e ucciso da un veicolo che è fuggito). Domani sarà un anno esatto. Dodici mesi nei quali la famiglia di Raghi non ha smesso di chiedere giustizia, senza far mistero di un dolore reso ancora più acuto dalla mancanza di un pentimento, di un qualunque segnale di rimorso o di ravvedimento da parte di colui – chiunque sia – che quella sera era alla guida del furgone maledetto.

Dodici mesi, allo stesso tempo, nei quali la famiglia di Raghi ha sentito l’abbraccio e il calore di un’intera comunità. Pochi giorni fa, in vista del triste anniversario, anche il vescovo di San Miniato Andrea Migliavacca ha voluto inviare una lettera ai familiari, come messaggio di vicinanza ad un dolore che si prepara a compiere un anno. “È stata una cosa che ci ha fatto un enorme piacere – dice Alberto Cioni, padre di Raghi -. Il fatto che il vescovo si sia ricordato di questa data è stata una sorpresa che non ci aspettavamo. Pochi giorni fa sono stato da lui per ringraziarlo. In questo anno, comunque, la vicinanza della gente non è mai mancata, anche delle persone più impensabili”.
È con questo spirito, segnato dal dolore ma allo stesso tempo determinato, che i familiari attendono l’udienza preliminare del 20 febbraio, dove sarà decisa l’apertura o meno del processo per i due imputati – padre e figlio – accusati della morte di Raghi (leggi qui Omicidio di Raghi Cioni, padre a figlio rinviati a giudizio). “Siamo soddisfatti di come si sono svolte le indagini – commenta Cioni -. I carabinieri hanno lavorato bene, adesso attendiamo l’udienza preliminare anche per vedere quale sarà il comportamento dei due imputati. Perché dopo tutto, la cosa che continua a pesarci, ogni giorno, è proprio il pensiero che là fuori ci sia una persona che in quest’anno ha continuato a fare la sua vita, tranquilla, senza sentire addosso il peso di aver ammazzato una persona. Pochi giorni fa, a Montespertoli, un pedone è stato ucciso, ma il responsabile si è presentato ai carabinieri il giorno dopo. Invece nel nostro caso niente. Ed è una cosa che ci manda fuori di testa”.
Una sensazione più forte leggendo gli atti del processo e scorrendo le testimonianze dei primi automobilisti che hanno dato l’allarme. “Sull’asfalto non è stato trovato uno straccio di frenata, né prima né dopo – riprende Cioni -. È incredibile. Quando siamo al volante, anche se colpiamo una scatola di cartone, l’istinto è sempre quello di frenare. È stato un ragazzo albanese, invece, a fermarsi poco dopo sulla strada e a dare l’allarme: ha visto il corpo di Raghi a terra e ha pensato che fosse un animale, ma comunque si è fermato e ha fatto quello che poteva”. Per il 30enne di Ponte a Egola, però, non c’era già più niente da fare: “A distanza di un anno – conclude il padre – due cose ci tranquillizzano: il pensiero che Raghi sia morto al primo impatto, probabilmente senza neppure accorgersene, insieme alla consapevolezza che nel momento della tragedia era felice, in sella a quella bicicletta che gli trasmetteva gioia”.

Giacomo Pelfer