
Era il 1936. Montanelli rientrava ferito dal fronte etiope, da lì a poco Leo Longanesi avrebbe fondato Omnibus, la stampa quotidiana viveva tra veline e notizie di costume i suoi primi anni d’oro anche se sotto il giogo fascista. A Ponte a Cappiano, poco lontano da quella villa cara a Indro, nasceva l’emporio Mannori che vendeva anche i giornali. Se esistessero ancora, dopo 81 anni quella licenza tornerebbe al comune di Fucecchio. Tra pochi giorni, infatti, l’ultimo ‘erede’ di quella tradizione di edicolanti, un giovane di 25 anni Alessandro Fanani, chiuderà definitivamente l’edicola Poker. Il 16 dicembre scenderà l’ultima saracinesca di quell’edicola nata dall’emporio Mannori e trasferita sulla Francesca Bis.
L’edicolante è un lavoro che Alessandro ha scelto per passione: quella per la carta e per i giornali e per il rapporto con i clienti. Una passione diversa da quella dei giornalisti, ma ugualmente fatta di storie, inchiostro che ti sporca le mani, carta, profumo di stampa. Lui, però, ha scelto le risme di giornali da aprire al mattino presto e sistemare sugli scaffali aspettando i lettori a comprare i quotidiani, ma anche le riviste, i periodici, i fumetti. Lettori che, negli ultimi anni, si sono polverizzati e così l’edicola di Alessandro Fanani, tra 5 giorni, tirerà definitivamente giù la saracinesca, per non riaprire più.
“Questa edicola è un esercizio storico – racconta Alessandro, persona solare nonostante tutto, con una grande voglia di lavorare e di investire sul futuro -. Quando presi questa edicola ero il quindo proprietario e si trovava sempre in paese. Nel 1936, quando aprì, si trovava su viale Colombo. Poi quando i fondatori si ritirarono la cedettero e prese il nome negli anni ’80 di Bim Bum Bam, poi cambiò ancora nome e diventò 44 Gatti. Prima di arrivare a me, era lo Scarabocchio e infine edicola Poker è il nome che le ho messo, ma la licenza e sempre la stessa quella del ’36. Quello che fa tristezza è che questo esercizio ora sarà l’ennesima edicola che negli ultimi anni cessa l’attività: in cinque anni abbiamo assistito nel Comprensorio a una vera e propria ‘ecatombe’ di edicole. Dal 2012 hanno fermato la loro attività ben cinque esercizi che vendevano giornali: una alle Botteghe fu la prima a chiudere, poi quella dell’ospedale di Fucecchio, quella in via dei Milla a Santa Croce e quella in via del Bosco davanti al bar Colombo, in via del Bosco fortunatamente ce ne è anche un’altra ancora aperta”.
Un’emorragia di posti di lavoro e di servizi, perché poi le edicole non vendono solo giornali, anche se quelli rappresentano il principale richiamo, ma vendono cancelleria, giochi, saponi e cibi confezionati di pregio come nel caso di Fanani, che sul suo banco per provare a invertire questo destino ha messo anche vini pregiati, i famosi legumi di Sorana e altri prodotti tipici che possono essere venduti nel suo esercizio. Ma la vera crisi è quella dei prodotti stampati, causata da una serie di fattori.
“Credo che la responsabilità di questa flessione, oggi diventata insostenibilità per me, dei giornali sia da imputare – dice Fanani – in parte al fatto che grazie a un decreto fatto circa 20 anni fa da uno dei governi Berlusconi, se non ricordo male, il giornale ora lo trovi ovunque: nei bar e nei centri commerciali per esempio e qui ce ne sono molti. Almeno fino a qualche tempo fa, la domenica si riusciva a recuperare in parte le vendite che i centri commerciali ci sottraevano in settimana, intesi anche come supermercati. L’altro aspetto è dato dal fatto che la maggior parte della persone ormai si informa on line: tutti i giorni arriva qualcuno che mi dice che il giornale non lo compra più e che la sera legge il tablet, il telefono, il pc. Negli anni – dice Alessandro proprio da dietro al banco dei quotidiani – ho visto diminuire progressivamente il numero di copie vendute. Penso solo alle aziende della zona, che compravano i quotidiani di ambito finanziario e ormai utilizzano tutti l’informazione on line, ma lo stesso anche per le cronache locali per non parlare poi delle grandi testate nazionali. Alla fine, quando va bene, di giornali che si occupano del territori ne vendo qualche sparuta decina ogni giorno e dei nazionali ne vendo appena qualche copia. Resistono alcuni prodotti di nicchia ad esempio qui si vende tantissimo il Vernacoliere e i giornali specializzati nello sport locale, poi c’è qualche rivista patinata di cui c’è un pochino più richiesta e per il resto i prodotti vanno un po’ a periodi ad esempio ho notato anche anche gli abbinamenti con i gadget non tirano più tanto”.
Un lavoro anche questo, come quello di chi li stampa i giornali, che ormai ha imboccato una progressiva trasformazione nella fruizione, nei supporti e nella distribuzione, ma con l’avvento della rete forse per alcuni si è perso un po’ anche il fascino che stava un tempo dietro ai quotidiani di carta, sia per chi li scriveva che per chi li vendeva. “L’edicola – racconta con un po’ di malinconia Fanani – fino a qualche anno fa non era solo il posto dove si comprava il giornale, qui la gente si trovava e li commentava. Ricordo quando si verificò il disastro della Costa Concordia: qui per tutto il giorno ebbi clienti che si incontravano e commentavano il fatto come accadeva comunque ogni volta che c’era un evento di rilievo, soprattutto sulla cronaca. Oggi invece la maggior parte della persone si informa in rete e insieme al gusto di leggere e sfogliare un giornale si è persa anche la passione del commento della condivisione e l’edicola non è più quel luogo magico, terminale di una filiera di lavoro che alla fine produceva scambio e cultura. Una filiera che voleva dire anche posti di lavoro da quello dei giornalisti, dei tipografi, degli uomini della distribuzione che ogni mattina preparano i pacchi per i padroncini del trasporto stampa e alla fine dell’edicolante che alle sei del mattino, se non prima, arriva davanti al negozio e come prima cosa apre le risme dei quotidiani. Ora tutti leggono in solitudine e in tempo reale o quasi, magari nella frettolosa solitudine di un centro commerciale”.
Gabriele Mori