Sonia Gini, a 25 anni dal disastro aereo

27 settembre 2017 | 12:46
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Sonia Gini, a 25 anni dal disastro aereo

C’erano mercanti e lontane vite quotidiane negli scatti che, nell’autunno del 1992, popolavano le foto finaliste del concorso “Obbiettivi su Fucecchio”, ed una sedia vuota alla premiazione: quella di Sonia Gini, scomparsa appena qualche giorno prima. Un vuoto lungo 25 anni. Tanto è passato dal giorno maledetto in cui la giovane castelfranchese, di poco più di trent’anni, scomparve con altri 166 passeggeri dai radar sopra i cieli e le montagne di Kathmandu, mitica capitale del Nepal.

Era il 28 settembre 1992. Una storia che rivive nel ricordo di una famiglia che da allora non fu più la stessa, e che a cinque lustri di distanza ha voluto ricordare quella lunga tragedia, per il cui scioglimento ci vollero oltre cinque mesi. Il volo PK 268 Karachi-Katmandu scomparve dagli schermi del piccolo aeroporto nepalese alle 8,45, ora italiana. L’ Airbus A 300 della Pakistan International Airway che portava a Katmandu 155 passeggeri e i dodici membri dell’ equipaggio aveva già iniziato la discesa verso lo scalo. Aereoporto particolare, quello di Katmandu, piccola città incastonata fra le montagne più alte del pianeta. A tradire il pilota le difficili condizioni meteo, i pochi strumenti a disposizione dell’aereoporto ed una manovra azzardata e vietata dai regolamenti, ma utile a risparmiare i lunghi tempi di atterraggio nella valle; poche centinaia di metri di dislivello che a Lele, piccola frazione della capitale dove ancora oggi il nome di Sonia è scolpito insieme a tutti i suoi compagni di viaggio in un piccolo mausoleo, provocarono un gran boato ed una serie di esplosioni che seminarono i pezzi dell’aereo lungo un raggio di quattro chilometri. Tra i resti dell’ aereo nessun segno di vita dei 167, in gran parte nepalesi e pakistani di ritorno dalla festa indù di Dashain. Tra loro anche 72 turisti, di cui dieci italiani arrivati a Karachi con un volo Roma-Francoforte. Con Sonia quattro piemontesi, due romani, un bergamasco, una ragazza pisana e una coppia di veneti in luna di miele. Il resto è storia di tante famiglie ferite, del disperato riconoscimento dei corpi, del viaggio dei familiari dall’altra parte del mondo nella speranza che un test del dna, tecnica allora all’avanguardia, restituisse la speranza di avere almeno alcuni resti su cui piangere. Quelli di Sonia tornarono a casa e furono tumulati il 9 marzo del 1993. Per tanti altri una fossa comune, lassù, fra giungla e montagne. Un dramma a tratti scandito dalle pagine di un giornalismo che alle volte, come spesso accade in queste situazioni, adocchia e importuna ben oltre il buco della serratura. Nel mezzo la storia di una comunità ferita fra Santa Croce, dove la giovane lavorava alla Coop, Santa Maria a Monte, dove vivevano la sorella Meri, il cognato Govanni Di Modica ed il nipote e Castelfranco dove Sonia viveva con i genitori, Giuseppe Gini e Angiolina Dal Canto. “Vogliamo ricordarla così – dicono oggi dalla famiglia – appassionata di viaggi, dei reportage e delle tante fotografie rimaste, che ancora oggi non colmano il grande vuoto che ha lasciato”. A ritirare il premio quel giorno andò la sorella. A distanza di 25 anni, quella sedia è ancora vuota.

Nilo Di Modica