Cosa ci direbbe l’Arno se potesse parlare? Cosa racconterebbe di sé e degli uomini che vivono sulle sue sponde? A dare voce al vecchio e caro fiume c’ha pensato Renzo Carrai, cittadino di San Donato, attraverso le rime e i versi di una poesia dal titolo “L’Arno abbandonato”. Un modo originale per tornare a puntare il dito sulla situazione del fiume, sulla mancanza di manutenzione e sulla perdita di quel legame antico con “contadini e barcaioli” che da più di sessant’anni non si vedono più.
Una poesia amara, a distanza di 10 mesi dai grandi lavori che lo scorso settembre avevano interessato il tratto di fiume che divide San Donato e Santa Croce. Lavori che avevano permesso di far sparire una volta per tutte il bosco cresciuto rigoglioso sul celebre isolotto, in attesa di ulteriori lavori che, in base agli annunci, avrebbero dovuto sbancare parzialmente l’isolotto per rafforzare la parte d’argine interessata dalla frana di due anni fa. A distanza di quasi un anno, invece, la vegetazione è tornata a ricoprire il celebre isolotto, alimentando negli abitanti il timore di un nuovo abbandono. Da qui il titolo della poesia, nella quale l’autore immagina di dialogare con il fiume rappresentato da un anziano dimenticato e trasandato: un anziano paziente che chiede almeno di veder curati i propri argini, i “recinti” in cui è stato costretto, ricordando agli uomini che niente gli impedisce di tornare ad “incazzarsi”.
“L’anno passato, proprio in questo periodo – ricorda Renzo Carrai – si fece un gran parlare dell’isolotto in mezzo al fiume, della vegetazione che nel settembre fu finalmente rimossa e della sistemazione degli argini. Tanti furono gli incontri e le petizioni promosse, dalle associazioni locali e della consulta di San Donato, che chiedevano a gran voce un maggior riguardo nei confronti del nostro fiume. Le promesse, sia dalle istituzioni locali che dalla regione, facevano intravedere un cambio di politica che nei fatti, passato un anno, hanno dimostrato di non aver avuto nessun vero fondamento”.
“Tutto si è fermato con la rimozione del bosco sull’isolotto e nessun altro intervento, per quanto sia a mia conoscenza, si prevede per quest’anno. Insomma – lamenta Carrai – tutto è finito di nuovo nel dimenticatoio e il nostro amato fiume si ritroverà, nel prossimo inverno, a dover far paura con la vegetazione che ritorna a crescere sull’isolotto non rimosso, con lo smottamento dell’argine vicino al ponte, che porta via una parte del versante e restringe il letto del fiume, e con le sponde che continuano a peggiorare a causa di una vegetazione incontrollata e mai regimata come si dovrebbe. Dovremmo aggiungere anche la mancata attuazione delle leggi, che esistono e dovrebbero essere attuate, da tutti coloro che si danno un gran daffare per usare gli spazi come orti e che finiscono per complicare le cose adoperando i terreni in modo scriteriato e lasciando qua e là ogni sorta di ingombri che assomigliano sempre più a discariche pronte a ostruire il decorso delle acque in caso di piene importanti. È ormai evidente che il nostro clima è cambiato drasticamente e gli eventi atmosferici estremi si presentano ogni anno più virulenti. Ciò dovrebbe farci riflettere e capire che sono finiti i tempi in cui le piene del fiume, che facevano comunque paura, erano rare. Se non incominciamo a dare un ordine alle cose che possono rendere queste piene meno pericolose, rischiamo davvero che un giorno si debba piangere con il rimorso di non aver fatto ciò sarebbe stato necessario e da tutti ben noto”. (g.p.)
Di seguito la poesia di Carrai:
“L’Arno abbandonato”
Tante, tantissime son le volte al giorno,
che il traffico di gente indaffarata,
corre veloce e distratto su quel ponte,
che unisce, dei cuoiai, la sua vallata.
Rari son gli sguardi che si posano sul fiume,
che da sempre bramerebbe d’esser più amato,
considerato, ricordato e qualche volta ringraziato,
da chi l’ha sfruttato, trasformato e abbandonato.
Un giorno di traffico tranquillo e misurato,
io percorrevo il ponte in bicicletta, alquanto rilassato.
Allora mi son fermato al centro di quel viadotto
e appoggiato alla spalletta, mi son lesto ciondolato.
Con lo sguardo fisso, rivolto verso il fondo,
guardavo l’acqua che defluiva lenta fra i piloni,
quando udii una voce cupa, risalir senza accezioni:
“Ehilà, giovanotto, cosa fai?, porco d’un mondo!”
“Non avrai mica intenzione di buttarti giù,
in quest’acqua putrida, schifosa e puzzolente?”
Lasciai pronto la spalletta, con gli occhi feci il girotondo,
e sorpreso notai che non c’era gente lì dintorno.
Quindi d’istinto e ad alta voce gli risposi:
“Giovanotto a chi? Io sono un anziano
e sto godendomi il panorama in santa pace!”
“Piuttosto tu chi sei e dove ti nascondi?”
“Io sono l’Arno e di “Voi” assai più anziano!”
“Pensa che quando tu sei nato ero già vecchio
e bada, io ti conosco da quando passavi piano, piano,
col fratello grande che ti teneva per la mano.”
“Di la verità?”,”Non mi riconosci più?”
“Ti capisco; io sono assai cambiato!”
“Prima c’era un’altra vista da lassù!”
“Guarda bene come m’avete combinato!”
“Non ti ricordi la mia acqua limpida e trasparente
che scorreva lenta fra le sabbie bianche,
dove i renai scavavano il fondo resistente
e lo gettavano su quei coli lunghi fra le panche?”
“Certo che lo ricordo; come rammento
i pesci rimasti a nuotare nelle pozze,
che tu formavi in mezzo al tuo lettone
quando ti ritiravi in secca dopo l’acquazzone!”
“Allora ti ricorderai anche di quei contadini
che curavano i miei argini come fossero giardini,
oppure, con i carri-botte trainati dalle vacche,
scendevano lenti, giù fino al greto e alle mie sacche.”
“E i barcaioli, su quei legni inconsistenti,
che sfidavano ogni dì le mie ostiche correnti;
come poveri schiavi del dovere ascritto,
giusto per portare a casa il misero profitto?”
“Certo, perché una volta l’ho anche provato,
quando tu eri rialzato e piuttosto incavolato
e ti posso confermare, che in quei giorni senza pace,
quello era davvero un lavoro assai audace!”
“Beh! Guarda adesso come m’hanno trasformato!”
“Son più di sessant’anni che non vedo un contadino,
il letto è sporco e tutt’intorno un bosco trasandato.”
“Nella vecchiaia mi sento davvero abbandonato!”
“Mi avete scavato con le draghe e piè sospinto,
mi avete alzato le barriere confinandomi in un canale
e costruito tutt’intorno nella zona alluvionale.
E allora? Tenete pulito almeno il mio recinto!”
“Trasporto un’acqua che ad esser franchi mi fa schifo,
e ho perso i pesci che mi tenevan compagnia.”
“Le anatre, poi, non le vedo più da chissà quando
e chiamare limo ciò che deposito è proprio un’eresia.”
“Non ho mai richiesto che lo sviluppo s’arrestassi
per le istanze e a causa da un vecchio impenitente.”
“Ma se qualche volta poi mi incazzo, brava gente,
io posso ritornar sempre sulla piana a grandi passi.”
“Allora, caro amico mio, saran danni colmi di dolore,
soprattutto per chi abusò della mia atavica pazienza.”
“Ti prego, tu che appari interessato, concedimi un favore,
di a tutti che, prima o poi, si patirà la mia presenza.”