
Il dato, frutto di una stima in corso, quindi ancora provvisorio e circoscritto alle concerie dell’Associazione Conciatori di Santa Croce è intorno al 15 per cento come spiegano dal quartier generale degli imprenditori di settore. Qui però con molta cautela precisano che i dati sono in elaborazione e quel 15 per cento rappresenta una stima media della presenza di manodopera straniera.
Una prospettiva numerica che quindi in qualche modo smentirebbe il presidente della provincia Marco Filippeschi che pochi giorni fa raccontava di un distretto conciario che senza lavoratori stranieri rischierebbe di trovarsi in difficoltà. Punti di vista? No, a spiegare meglio la situazione, senza necessariamente mettere in discussione la veridicità delle due posizioni sono i sindacati, perché se di immigrati e settore conciario si parla, allora c’è da tenere conto anche della filiera.
“Se teniamo conto dell’indotto e del conto terzi – spiega Loris Mainardi della Filctem Cgil – la presenza degli immigrati è molto più elevata. Non parlo solo dei senegalesi, ovviamente: nel distretto del Cuoio è rappresentato tutto il mondo. Ci sono albanesi, macedoni, pakistani, africani, anche tanti indiani. Oltre a persone che arrivano dalla Romania, che sono comunitari ma comunque stranieri. E sono meno, bisogna dirlo, di quanti fossero fino agli anni 2000, fino a prima della crisi del 2008, che nelle concerie è arrivata un po’ dopo. Diciamo che Filippeschi (Leggi qui Cuoio, “senza immigrati chiuderebbe in un giorno”) ha un po’ esagerato, ha forzato, ma la presenza di stranieri impiegati nel distretto è molto alta, come in quasi tutti i distretti industriali, d’altra parte. Meno di quanto fosse qualche anno fa, comunque: abbiamo avuto anni in cui certi lavori li facevano davvero soltano gli immigrati”. Gli stranieri, quelli senza radici qui, arrivati nel distretto sognando l’America, sono stati i primi a sentire la crisi e a lasciare quel posto di lavoro non più tanto sicuro e ben remunerato per cercare fortuna altrove, dove magari un amico che lavora già può inserirlo. “Ora, – continua Mainardi – mi dicono che qualche italiano torna a chiedere lavoro anche alle scarnatrici”. Parte dell’occupazione, poi, la garantiscono le agenzie interinali, dove la differenza tra italiani e stranieri proprio non c’è. “Un tempo – continua Mainardi – chi perdeva lavoro lo ritrovava. Oggi se esci dal mondo del lavoro, l’unico modo per rientraci è l’agenzia interinale. E succede a volte di cadere nel ricatto del contratto a continuo termine, quando accetti tutto pur di lavorare”. (E.ven)