


“Durante la prima del Golfo, gli iracheni definivano gli americani ‘demoni’, perché dentro i carrarmati colpiti non restava neanche la polvere degli equipaggi”. Era l’effetto devastante dei proiettili all’uranio impoverito, che tante vittime hanno mietuto anche tra i militari italiani in missione all’estero.
Il tema è stato oggetto di un incontro questa mattina 6 aprile al liceo Marconi di San Miniato, con la presenza del capitano dell’aeronautica Domenico Leggiero, fondatore dell’associazione Osservatorio militare che si occupa proprio del problema legato all’uranio impoverito. Una testimonianza che ha catturato l’attenzione degli studenti, anche attraverso le immagini mostrate da Leggiero sulle tecnologie militari impiegate nei più recenti fronti di guerra. “L’errore della mia generazione – ha spiegato Leggiero – è stato quello di pensare che la democrazia si potesse esportare. L’esperienza, invece, ci ha insegnato che non è così”. Un’esperienza maturata nelle cosiddette missioni di pace, dove sono stati impiegati più volte proiettili all’uranio impoverito. “È un munizionamento borderline – lo ha definito Leggiero -: siamo a metà strada tra un’arma convenzionale e un’arma chimica”. Leggiero ha ipotizzato che i militari italiani coinvolti, complessivamente e nel corso del tempo, siano circa 7mila.