
“Il processo relativo alle accuse per abuso d’ufficio nei miei confronti e di tutta la mia ex giunta ha avuto l’epilogo che noi ci aspettavamo. Ma voglio chiarire che se anche non fosse andata con il risultato della piena assoluzione perché “il fatto non sussiste” io sarei rimasto ugualmente convinto di aver agito nell’interesse dei cittadini; questo lo sa bene chi mi ha frequentato in questi anni e chi conosce i dettagli dell’accaduto”. Con queste parole, ad alcuni giorni di distanza dalla sentenza, l’ex sindaco di Santa Maria a Monte David Turini vuole commentare l’assoluzione dall’accusa di abuso d’ufficio rivolta a lui e alla sua giunta.
“I fatti contestati, appunto, si riferiscono nell’aver cercato di non perdere l’esperienza maturata dall’unico dirigente del settore tecnico che stava seguendo due procedimenti fondamentali che egli stesso aveva preso l’impegno di portare a compimento entro la fine della legislatura: variante di monitoraggio e adozione del Piano Strutturale” scrive l’ex primo cittadino, alla guida del comune dal 2003 al 2013. “Chi è del settore sa bene la delicatezza e la complessità di questi atti, che l’amministrazione adesso in carica ha portato in approvazione dopo successivi ulteriori quattro anni, quasi tutta la legislatura. Ebbene, detto dirigente ad un anno e mezzo dalla scadenza della mio secondo mandato (2008-2013) comunicava all’amministrazione che se ne sarebbe andato in pensione di lì a tre mesi visto che si era aperta una “finestra”, che se ignorata avrebbe prorogato la durata del suo servizio di altri due anni. Quello che è stato fatto da parte della giunta (su azione dell’allora segretario generale) ha teso semplicemente a cercare di non perdere l’esperienza fin li maturata dal dirigente, al fine di trasmetterla a chi l’avrebbe sostituito da subito come prevede la legge.
I cittadini non devono dimenticare che il procedimento nei miei confronti e la giunta è scaturito, con procedura d’ufficio, a seguito di un esposto presentato dall’allora componente del gruppo di centrodestra al completo che, guarda caso, oggi si trova ad amministrare il nostro comune e che, sempre guarda caso, ha impostato gran parte della campagna elettorale del 2013 sulla presunta disonestà della mia giunta e sottolineando come il caso della consulenza conferita all’ex dirigente del settore urbanistica ne fosse uno dei simboli. Si è voluto, in questo caso, contestare il conferimento dell’incarico di consulenza dal punto di vista tecnico in maniera pretestuosa per mettere in discussione la credibilità e l’onestà della mia giunta. Addirittura l’attuale vicesindaco nel “santino” elettorale scriveva esplicitamente di essere brava a presentare gli esposti alla magistratura. Errori, in dieci anni da sindaco, posso averne fatti come tutte le persone normali, ma la buona fede e l’onestà nel perseguire l’interesse pubblico non è mai mancata. Questo ci tengo a dirlo ed è giusto dirlo oggi, dopo aver aspettato, con pazienza e con fiducia il corso della giustizia per quattro anni.
Non mi aspetto certo un ravvedimento da parte di chi all’epoca presentò l’esposto e oggi si trova ad amministrare il nostro comune, anche se, ritengo, a loro spetterebbe almeno il compito di rendicontare sul come hanno speso i soldi pubblici in questa vicenda. Rimane tuttavia una amarezza ben più grave dentro di me: ovvero l’aver constatato in questi anni l’assoluta distanza e assenza da parte del partito che all’epoca dei fatti io da sindaco rappresentavo e di cui ero espressione; assenza assordante, specialmente dagli allora rappresentanti del partito locale; una mancanza di coraggio che, secondo il mio parere, è stata pure pagata con la sconfitta delle ultime elezioni comunali. Infine, questa vicenda ha rafforzato in me una convinzione riguardante il ruolo dei partiti di carattere più generale: questi devono capire che quando arriva un avviso di reato ad un proprio rappresentante, che da inizio ad un procedimento giudiziario, a loro non spetta né difendere ne accusare dal punto di vista giudiziario (a quello ci pensa la magistratura con i suoi tempi); a loro spetta un compito ben diverso, altrettanto importante e non delegabile a nessun organo di controllo, ovvero quello di giudicare politicamente il reato contestato e il conseguente obbligo di prendere posizione; sia essa in favore che in sfavore del proprio rappresentante ed indipendentemente da quello che sarà il naturale corso della giustizia. Questo specifico compito non è né delegabile né surrogabile ma da sostanza a quel concetto che una volta si definiva con l’accezione “primato della politica” ovvero il perseguimento del bene comune che può anche avere, in alcuni casi, sfaccettature diverse da quello che è l’applicazione fredda tout court della norma di legge, spettante ai giudici, ma che da il senso al valore alto del vivere civile”.