


La macchina del caffè, fra svaporate e scivolar di tazzine e cucchiai, prosegue la sua attività come sempre, per la gioia dei tanti clienti del bar che aspettano la loro dose quotidiana. Ma qualcosa allo storico Bar Gini, assoluta certezza del centro storico castelfranchese da quasi settant’anni, sta cambiando: i gestori Paola e Bachisio, complice l’età da pensione, da qualche tempo cercano nuovi gestori.
Una piccola rivoluzione per quello che attraverso i decenni è divenuto un punto di riferimento centrale per il paese, dove l’attività tiene banco dal 1948. “Di bar così vecchi ce ne sono rimasti due in paese, noi e il Bar Ciurli – racconta Paola Gini, attuale titolare dell’esercizio, accompagnata dalla sorella Carla. – Da qui, in tanti anni, sono passati tutti i castelfranchesi, di tutti i tipi. Dalla miseria del dopoguerra ai tempi d’oro del boom economico, il Bar Gini c’è sempre stato”. Storie che si raccontano fra un filo di commozione ed una buona dose d’orgoglio, ricordando i tempi andati e quell’Italia in bianco e nero dove iniziò l’avventura imprenditoriale dei genitori di Paola e Carla, Elsa e Giovanni. “Nostra madre era banconiera alla Casa del Popolo, nella sua prima sede in paese, dove ora ci sono i Carabinieri. Nel ’48 poi decisero di aprire un bar”. La sede, fin dall’inizio, è in via Marconi, ma non nell’angolo dove il bar si trova oggi. “Era di fronte, appena poco più in là verso la porta che guarda l’Arno, accanto a Giustino – racconta Carla. – Rilevarono un bar che era già li da prima della guerra, il Ferretti. Noi invece fin da subito aprimmo un ristorante, all’epoca c’erano i piani del commercio. Dall’altra parte del corso vi era un altro bar, il Tuccini. Quindi per un po’ l’unica cosa che potevamo fare era il ristorante”. Nel ’52, poi, il trasferimento nella sede attuale, accanto all’arco. “Qui, prima, aveva sede il Martini, che poi con la pelle fece fortuna e si allargò fuori dal paese. Ancora oggi qualcuno dei nostri clienti guardando il bar si ricorda dov’era precisamente il suo posto di lavoro, e quella piccola edicola con la Madonnina, nella sala dei tavoli, che all’epoca decidemmo di lasciare così com’era, ed è ancora lì, da chissà quanto. – ricorda Paola. – Quando aprimmo il ristorante in quella sede l’entrata era dall’arco. Da una porticina che esiste ancora. Un tempo l’insegna era lì. L’accesso sul corso non ce lo facevano aprire”.
Anni d’oro, di grandi soddisfazioni. “Venivano tutti a mangiare da noi: lavoratori, operai, imprenditori, anche stranieri – ricorda Carla. – Lami, Martini, Lorbach, passavano tutti da qui a pranzo, perchè eravamo rinomati per la cucina casalinga ed il vino buono. In quegli anni capitava spesso che nel bar vi fossero anche un sacco di stranieri, in particolare americani che venivano a visitare il comprensorio in occasione delle fiere. Gente con i soldi, con il telefono in macchina, che all’epoca ci sembrava chissà che. E poi tanti fiorentini, rappresentanti. Venivano tutti i giorni a mangiare da noi. Nel retro, in cucina, avevamo un enorme caminetto dove arrostivamo la carne“. Proprio con Carla, nel ’76, il passaggio da ristorante a bar. “Non andava più, c’era bisogno di cambiare qualcosa e lo facemmo – racconta. – I primi anni era rimasto un posto frequentato quasi da soli uomini, si facevano i tornei di biliardo. Qui da noi ad un torneo ha partecipato anche Marcello Lotti, “lo Scuro”, come lo chiamavano. Grande giocatore. Col tempo però ne feci un bar pieno di donne: piano piano, il biliardo venne sostituito dalla sala da tè, mano a mano che il gioco non andava più”.
Infine gli anni più recenti, l’ammodernamento dei locali, la gestione di Paola e Bachisio. Ed oggi la pensione. “Il centro storico, nel frattempo, è completamente cambiato. Sono cambiate le abitudini, gli usi. Ma questo piccolo bar ha sempre saputo rinnovarsi: così è andato avanti. Oggi ha il suo giro, ed un nome che a Castelfranco e non solo è molto conosciuto, ma servono nuove energie – spiega Paola. – Servono giovani! Noi vorremmo goderci un po’ la pensione adesso. Ecco perché da qualche tempo abbiamo cominciato a cercare qualcuno che voglia prenderlo. E vorremmo lasciarlo a qualcuno che abbia voglia di investire in questa lunga storia, e magari farne un’occasione di rilancio per un centro che ne ha bisogno. Stare dietro al bancone è dura, bisogna essere diplomatici, bravi nel proprio mestiere. Pure un po’ psicologi. Tutti questi anni sono stati una grande esperienza, che ci ha dato tantissime soddisfazioni. Adesso tocca a qualcun’altro”.
Nilo Di Modica