“Sparisce il contratto nazionale”, peggiorano le condizioni di lavoro

31 ottobre 2016 | 15:06
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“Sparisce il contratto nazionale”, peggiorano le condizioni di lavoro

Gli ultimi dati certi risalgono a 3 anni fa. Allora, il contratto nazionale del settore calzaturiero, sul distretto di Santa Croce, riguardava 2.500 persone circa. Di sicuro qualcuna in meno ora, ma abbastanza da fare di questi lavoratori parte integrante del motore economico del comprensorio. I lavoratori della calzatura sono al rinnovo del contratto nazionale. Mentre il settore tessile ha già programmato una giornata di sciopero di otto ore, da definire entro novembre. Il 15 dicembre, in un incontro nazionale, la calzatura deciderà cosa fare e forse seguirà l’esempio del tessile che sta già programmando uno sciopero da fare entro il 21 novembre.

A non piacere per niente ai sindacati del settore del calzaturiero è, in modo particolare, la definizione ex post del salario. “Perché così – spiegano Loris Mainardi e Fabio Carmignani della Filctem Cgil – di fatto sparisce il contratto nazionale e l’aumento salariale va, in pratica a contrattazione individuale. A questo punto era meglio calcolarlo sull’inflazione programmata, così che almeno il lavoratore sapeva di quanto era l’aumento e quando scattava”. Nella proposta di Assocalzatura e Sistema moda Italia, infatti, l’aumento concordato ora, non viene definito se non a marzo 2018: l’aumento concordato non viene versato subito ma a partire da aprile 2018, dopo aver calcolato lo scostamento fra marzo 2017 e marzo 2018. Un aumento da versare al 100% per il primo anno, al 75 al secondo e al 50 il terzo. “Il punto è anche – continuano i sindacalisti – che nessuno degli operai che fanno le scarpe si può comprare quelle scarpe. Questo è il problema principale: si passa dall’alta gamme delle grandi marche a prezzi inaccessibili, a quelle da poco poco. Manca ormai completamente il livello medio. Su questo si è smesso di investire”. In una situazione, quella descritta dai sindacati, che vede il tessile in leggera ripresa, mentre il calzaturiero è ancora in netta difficoltà.
Pochi, sul comprensorio, i lavoratori ai quali è applicato il contratto nazionale del settore tessile: un centinaio in tutto. La decisione dello stato di agitazione arriva a seguito dello stato delle trattative che erano giunte, il 29 settembre scorso a Bologna, ad uno snodo fondamentale con un incontro della delegazione trattante del contratto Tessile e Abbigliamento e del Calzaturiero per valutare l’andamento del negoziato. L’11 ottobre, poi, si è svolta a Roma la trattativa in ristretta per il rinnovo del contratto nazionale calzaturieri. In via di programmazione c’è uno sciopero regionale del settore tessile e abbigliamento, con data da definire, probabilmente a metà novembre. Il calzaturiero potrebbe decidere di fare lo stesso.
Le condizioni di lavoro
Non solo le condizioni del contratto nazionale, ma anche quelle dei lavoratori, stanno al quadro disegnato dai sindacalisti, sarebbero in peggioramento per i lavoratori delle calzature. Nella sede Cgil di Santa Croce, alla quale afferiscono lavoratori da tutto il distretto, arriva chi racconta di sentirsi male prima di andare al lavoro e chi si dichiara “in ostaggio” dell’azienda. “Nel senso che – spiega Mainardi – non si possono licenziare ma non percepiscono lo stipendio, aspettando la cassaintegrazione”. Lavorare per grandi marchi, i big del mercato mondiale, in pratica non basta più a garantire condizioni dignitose di lavoro. Certo, questa non è la regola, ma è comunque un segnale preoccupante finora mai registrato. “Alcune vertenze le abbiamo chiuse con conciliazioni economiche” ma molte situazioni, al momento, sono attenzionate. “D’altra parte, le aziende conto terzi che lavorano a cifre bassissime per competere sul mercato da qualche parte devono risparmiare. Ma come si fa a essere competitivi in un Paese in cui il 44 per cento va in tasse? Il lavoro puoi anche pagarlo poco, ma il costo sarà sempre troppo alto. L’unica soluzione, a questo punto, è il controllo della filiera, da mettere all’interno del contratto nazionale”. Più di un codice di autoregolamentazione, quello proposto da Cgil, che va oltre il semplice rispetto delle regole per stabilire un principio: tenere fuori dal mercato le aziende che lavorano a troppo poco, perché, secondo i sindacalisti, da qualche parte, “barano”. (E.ven)