
E’ un blasone già noto alle cronache alte e ai sanminiatesi più veri l’immagine di Pietro Bagnoli, dotto letterato vissuto fra Settecento e Ottocento. A rispolverarlo adesso penserà sabato 29 ottobre alle 17,30, nei locali dell’Accademia degli Euteleti, l’ex assessore della giunta sanminiatese Manola Guazzini, che terrà una lezione sulla figura di Bagnoli dal titolo “Pietro Bagnoli: un sanminiatese che cercò di far rinsavire l’Orlando Furioso”.
Un salto in cattedra in nome di una vecchia passione giovanile, la letteratura, che negli anni ’90 sfociò nella laurea, dedicata appunto a questa figura così importante della storia locale della città. “Un frutto fuori stagione per la sua epoca, fuori posto per tanti versi, lungimirante per altri” lo descrive Guazzini. “E per molti aspetti in anticipo su quanto studiavo io: Bagnoli è una figura stilisticamente più vicina al ‘700, io arrivai alla fine del mio percorso di studi come ottocentista. Ma l’idea di dedicarmici mi piacque fin da subito”.
Come cadde la scelta su questa figura?
“Fu la poetessa e scrittrice Marinella Marianelli a incoraggiarmi. Io la conoscevo da tempo personalmente, lei era una grande conoscitrice di quell’epoca di transizione che va dalla fine del ‘700 all’inizio del ‘800, nella quale aveva ambientato anche alcuni suoi romanzi. Io ero alla ricerca di un’idea. Mi ricordo nitidamente che mi disse: “perché non ti dedichi ad una figura della storia locale?”. Di qui poi l’idea di fare una tesi su questo personaggio. Il mio professore Enrico Ghidetti era entusiasta”.
Lo definisci un “frutto fuori stagione” per sottolinearne la peculiarità. Al tempo stesso, a San Miniato, c’è una strada che lo ricorda, fra piazza XX Settembre e piazza Bonaparte, oltre a due busti: uno in particolare sotto i loggiati di San Domenico. In cosa è stato “diverso” e grande Pietro Bagnoli?
“Bagnoli è stato un grande personaggio sanminiatese, che dagli umili natali, nel 1764, è riuscito malgrado i progetti che per lui aveva la famiglia a diventare letterato, politico, uomo di cultura interessato alla giustizia e alla formazione delle nuove generazioni, presidente dell’Accademia degli Euteleti o uomini di buona volontà e della Cassa di Risparmio di San Miniato, oltre che precettore degli arciduchi Francesco e Leopoldo, e del principe Corsini – spiega Guazzini. – Dal punto di vista letterario il suo stile è per certi aspetti ambivalente. Quelli in cui vive sono gli anni del romanticismo e dell’illuminismo, che porta con sé il neoclassico. La Rivoluzione Francese scoppia quando lui ha 25 anni. Eppure stilisticamente parlando rimane sempre un classicista “vecchio stile”. Abbraccia gli ideali dell’illuminismo, ma mantenendo un fervore cristiano. Non vive i contrasti interiori dei romantici, ma al tempo stesso è portatore di uno stile classico colto, accademico, dotto e mai conforme a quello di autori a lui contemporanei come Foscolo, che pure stima e col quale intrattiene un carteggio. Contemporaneamente, ancora, è un estimatore della parlata popolare. Nei dibattiti in voga all’epoca sulla natura della lingua italiana, prende parte per il fiorentino volgare e nel 1819 entra a far parte dell’Accademia della Crusca, dove ha modo di conoscere Giovan Battista Niccolini e Tommaseo”.
Eppure lo si ricorda per opere che spaziano dal poema cavalleresco all’ottava rima.
“Esattamente. In giovanissima età, a 11 anni, comincia quest’opera con la quale vuole continuare l’Orlando Furioso di Ariosto, l’Orlando savio. Opera che ci mise moltissimi anni a finire. Nel 1821, poi, pubblicava a Pisa Il Cadmo, ossia l’introduzione della civil cultura, un poema in ottava rima e in venti canti, alla cui stesura aveva atteso sin dal 1792 e con il quale aveva inteso cantare “la civiltà umana”. Da una parte abbiamo l’attaccamento alla mitologia classica, all’accademia romana dell’Arcadia, da un’altra dall’altro aspetti di estrema modernità”.
E tutto questo ha avuto anche delle ricadute positive su San Miniato?
“Sicuramente. Anche se vivrà a San Miniato sono all’inizio e alla fine della sua vita, Bagnoli cercherà sempre di rafforzare questo legame con la sua terra natia. Lo farà da accademico, professore di Letteratura Greca e Latina a Pisa, ottenendo la regia scuola a San Miniato nel 1821 e partecipando, da presidente, alla vita dell’Accademia degli Euteleti che nasce nel 1822 ad opera di Torello Pierazzi, ma lo farà soprattutto come persona vicina alla corte granducale. Una fiducia che lo porterà ad andare in esilio a Vienna nel 1799 con Ferdinando III, che lasciava la Toscana invasa dai francesi. Al suo ritorno, ristabilito il Granducato, nel 1838 ottiene per San Miniato una sede di Tribunale, e nel 1830 contribuirà a fondare la Cassa di Risparmio. Gli ultimi anni torna a vivere a San Miniato e qui muore, nel 1847. Sepolto al Convento di San Paolo, a lui in epoche più recenti si dedica una strada, e al centenario dalla nascita il busto in San Domenico. Ma all’opera letteraria ci si dedica poco”.
Resta ancora qualcosa da indagare su di lui?
“Sicuramente. Negli ultimi decenni si trova veramente poco di scritto sulla sua figura, a parte la mia tesi di laurea. Fra i motivi, forse, un certo filone interpretativo che lo vuole esclusivamente come un conservatore. Era cristiano, patriottico, politicamente estimatore dell’ordine sociale, neoguelfo, in un epoca in cui, poco dopo la sua morte, avrebbero preso piede i rivoluzionari. Eppure dal punto di vista letterario e storico, è una figura ancora da valorizzare. C’è ancora molto materiale alla Biblioteca Nazionale di Firenze che merita di essere indagato, specie nel grande corpo delle sue opere minori e d’occasione. Anche per questo, per l’occasione che l’Accademia mi ha dato di parlarne, devo un ringraziamento al presidente Saverio Mecca e a Luca Macchi”.
Nilo Di Modica