



“Ecco Marco, ti auguriamo di essere un prete che crede, con una fede cioè che ti regala una sorprendente operosità nel servire, nel vivere il ministero, sapendo che fa il Signore, opera Lui e tu continui come servo inutile. C’è bisogno di preti credenti, di preti la cui fede li convince che nel proprio fare, pregare, amministrare sacramenti, vivere la carità, in verità fa il Signore, opera Lui e per questo si può definire ‘servo inutile’. Quell’amico che può e che deve operare, servire, farlo nella gratuità ma sa e annuncia che è il Signore colui che davvero opera, salva e dona la vita”. E’ l’augurio del vescovo di San Miniato Andrea Migliavacca a don Marco Billeri, ordinato domenica a Santa Maria a Monte (qui “Occasione per pensare a Dio”, Marco sarà prete ).
In una intensa omelia, il vescovo arrivato a San Miniato dal seminario di Pavia del quale era rettore, in qualche modo ha continuato nel suo ruolo di guida dei seminaristi, che ora ha l’onere e l’onore di ordinare. Insegnandogli, anche con l’esempio, cosa significa essere sacerdote e usare il vincastro, quel bastone che “il buon pastore” usa per spronare le sue pecore e anche per difenderle e riportarle a sé.
Essere prete
“Diventi prete oggi – ha ricordato il vescovo rivolgendosi direttamente a don Marco -: si tratta, d’ora in poi, di essere portatore (indicatore meglio), del bene che c’è, del bene che talvolta è solo promesso e ancora non si vede, del bene che non solo indichi ma tu stesso potrai vivere e promuovere. E questo è possibile collocandosi lì dove qualcuno grida che il Signore non lo ascolta e vede violenza. Lì, la tua presenza, il prete, ha il dono di indicare Dio che si fa vicino, risolleva, ama. E si riaprono cammini di vita”.
“Nella comunità – ha ricordato ancora nell’omelia – il prete è colui che sempre, in ogni situazione di vita condivisa e personale, nell’incontro con la gente e nel silenzio della preghiera, indica, racconta l’opera buona di Dio e la sua fedeltà. Si tratta di acquisire anzitutto le qualità umane di chi, con la cordialità della vita, con le doti necessarie per intessere e coltivare buone relazioni sa vedere per primo lui, nella sua vita, il bene che c’è, la fedeltà di Dio, lo spazio del suo amore e della sua misericordia. E così, perché ha imparato a vedere, sentire il bene, è capace di raccontarlo, di mostrarlo agli altri, soprattutto a chi non lo vede più e rischia di soccombere nelle fatiche della vita”.
Avere come modello i sani insegnamenti è l’altro spunto: “Penso alla vita di preti che abbiamo conosciuto e che nel nostro cammino di vocazione ci hanno parlato di Dio e ci hanno mostrato una vita bella, una vita da prete bella, santa, gioiosa. Ecco, custodire e ravvivare il dono è possibile per contagio, lasciandoci contagiare dalla vita e dalla testimonianza di preti santi, belli, veri uomini di Dio. L’esigenza di ravvivare e di custodire con grande evidenza richiama che abbiamo a che fare con un dono prezioso: è il tuo essere prete, Marco e alla fine è la tua vita”.
Mai da solo
In chiesa, ad arricchire la comunità di Santa Maria a Monte, in occasione dell’ordinazione presbiteriale di don Marco, c’erano i parenti, gli amici e i seminaristi di San Miniato e di altre diocesi toscane, alcuni persino del Pontificio seminario lombardo di Roma, dove Marco ha iniziato il suo percorso di comunità e di studio. Prendendo spunto anche dalle letture, monsignor Migliavacca ha sottolineato a Marco come “ti viene ricordato che sei figlio. Lo sei di fronte al Padre nel cielo che ti ha chiamato e che ti ama, colui che ti ha dato la vita e da cui dipende, colui verso il quale andiamo. Ma sei figlio, riconosci, cioè la vita che hai accolto come dono. Riconoscila con la gratitudine del cuore verso chi si è fatto custode della tua vita, da figlio: i tuoi genitori, il seminario, il volto concreto di alcuni preti. Sei figlio, sei uno la cui vita è stata custodita. Il dono del diventar prete è dato ad uno che è e rimane figlio. Ti è affidato ‘un dono di Dio’: è questo che accadrà tra poco. Non accade di scegliere e assumere un impegno professionale, ma di accogliere un dono. Si tratterà, Marco, di lasciare che l’amore di Dio, il dono, visiti la tua vita grazie allo Spirito santo e la inondi dell’amore di Dio, fino a segnarla per sempre, fino a trasformarla rendendola capace di vivere come Cristo, con Cristo”.
Figlio, parte di una famiglia, mai da solo è stata la rassicurazione che è allo stesso tempo affettuosa ammonizione del padre-vescovo che impone le mani mentre ordina: “Sono le mani del vescovo che sul tuo capo ti fanno collaboratore del ministero apostolico, cioè all’interno di una comunità, la Chiesa e mai da solo, quasi si possa essere presbiteri solitari per mete personali. L’imposizione delle mani dei presbiteri presenti è il segno della comunità che ti accoglie e con la quale dovrai naturalmente camminare. Ed è la stessa imposizione delle mani del vescovo che è invocazione del dono dello Spirito, quasi a ricordarti che quello che sarai è dono gratuito, è solo frutto di amore. Questo dono che accadrà, ti viene subito detto, va custodito: ‘Ravviva il dono di Dio’. Ti viene ricordato, Marco, che ciò che è dono e che accade in te è affidato anche alla tua responsabilità. Non si tratta solo di ricevere un dono, ma di farne sempre dono, nella gratuità”. (E.ven)