Pranzo a mensa o pasto da casa? L’opinione dell’ex sindaco

21 settembre 2016 | 17:48
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Pranzo a mensa o pasto da casa? L’opinione dell’ex sindaco

Pranzo a mensa o pasto da casa? È la disputa che si è accesa da alcuni giorni nel dibattito nazionale, da quando una sentenza del Tribunale di Torino ha dato ragione a un gruppo di 58 famiglie schierate contro il Ministero dell’istruzione. Le famiglie, in pratica, potranno d’ora in poi far mangiare i figli a scuola ma con un pasto preparato a casa. La decisione è appesa adesso agli eventuali ricorsi del Ministero, anche se la sentenza rischia di creare il caos negli edifici scolastici. Sul tema raccogliamo e pubblichiamo l’intervento dell’ex sindaco di Santa Croce Osvaldo Ciaponi, che si schiera in favore del valore educativo della mensa scolastica. L’amministrazione santacrocese, del resto, si è distinta negli anni per la qualità del servizio offerto dalla propria cucina centralizzata, anche con iniziative e progetti dedicati all’educazione alimentari, tra le quali il celebre concorso “Il piatto della mamma”. Buona lettura. 

di Osvaldo Ciaponi
L’inizio dell’anno scolastico è un momento di grande impegno per le istituzioni scolastiche e locali, per gli insegnanti, i genitori, e gli studenti. È un appuntamento molto atteso in cui si misura davvero il livello di efficienza e di organizzazione del sistema scuola.

In questi giorni si rinnovano tutte le aspettative della buona scuola: insegnanti stabili e puntualmente in servizio per garantire continuità didattica, dirigenti che seguano gli istituti con la dovuta continuità e assiduità, edifici e strutture sempre più sicure e sempre più idonee all’insegnamento ed all’apprendimento, offerte formative che rispondano alle esigenze della realtà socio-economica, interazione tra scuola e famiglie, rapporti stretti di collaborazione con i territori ed i soggetti che li rappresentano o vi operano, sostegno per chi è svantaggiato, potenziamento quando è necessario, accoglienza che favorisca la migliore integrazione in un mondo dove i fenomeni migratori sono diventati ormai strutturali e irreversibili.
Il risultato di queste aspettative, almeno per ora, non è ovunque all’altezza delle promesse e il mondo della scuola vive spesso questo momento tra non poche apprensioni e difficoltà nella speranza di risposte positive.
Immancabilmente, però, insieme a queste giuste attese, emergono anche dibatti, e naturalmente divisioni, su alcune iniziative che ora potrebbero apparire marginali o estemporanee, ma che invece, potrebbero diffondersi con effetti importanti sul sistema scolastico.
Mi riferisco ai temi dello “zaino pesante”, delle telecamere nelle aule, della consegna dei ragazzi all’uscita delle lezioni. Quello sul quale mi voglio soffermare, perché arrivato agli onori della cronaca nazionale e già oggetto di sentenze dell’Autorità Giudiziaria, è il servizio di refezione scolastica pubblica di contro al pasto veloce (fast food) portato da casa da ogni bambino.
Una buona scuola non può prescindere da un buon servizio pubblico di educazione alimentare che promuova la conoscenza e la diffusione tra i bambini e le loro famiglie, di informazioni appropriate e omogenee tese a favorire la promozione di modelli alimentari sempre più idonei a salvaguardare la salute delle persone.
Il pranzo a scuola è un momento educativo di grande rilievo che si inserisce nell’ottica di una scuola che si configura come agenzia educante non solo rispetto alle materie di studio, ma che ha un ruolo fondamentale nella vita dei bambini e dei ragazzi anche rispetto ad altri e forse più importanti aspetti della personalità.
A scuola si imparano le regole grammaticali, l’addizione e la sottrazione ma si impara anche a stare con gli altri, a condividere uno spazio di relazione per la gran parte della giornata con i coetanei e con le figure adulte di riferimento. E in questo, il momento del pranzo rappresenta il luogo per eccellenza della socialità e soprattutto della contaminazione. Condividere un pasto sano e appositamente studiato da esperti per le varie fasce di età, significa non solo fare del momento del pranzo un laboratorio di educazione alimentare, ma fornire anche un’occasione in cui si sperimenta, in cui ci si avvicina ad alimenti non abitualmente consumati e meno graditi anche solo per imitazione del bambino seduto accanto che li consuma.
I risultati in questa direzione, in contesti in cui il servizio di refezione scolastica è erogato con tale consapevolezza e con un investimento importante da parte degli enti locali sia in termini di risorse umane che di qualità delle derrate, sono ampiamente dimostrati.
E allora se così è, l’alternativa ad un simile servizio è il pasto veloce? È il fast food, sempre più in voga anche nel nostro Paese e soprattutto tra i giovanissimi? È il panino o il contenitore col cibo portato da casa nello zaino? È un pasto magari preconfezionato, diverso per ogni bambino e con contenuti dietetici la cui affidabilità non è controllata né tantomeno garantita? È la creazione di un trattamento differenziato fra ragazzi? Fra chi pranza in una mensa appositamente attrezzata e apparecchiata e chi consuma il “suo pasto personale” su un banco? È la conseguente disarticolazione di un momento importante della vita scolastica?
Direi proprio di no! E dobbiamo tutti dire proprio di no! Sarebbe un regresso imperdonabile sul piano educativo e un rischio reale di smantellamento degli ottimi servizi organizzati dai nostri Comuni.
Per questo non dobbiamo lasciare che prevalga la moda o l’opportunità (o a volte anche l’ideologia) e l’indifferenza, soprattutto dei genitori che invece dovrebbero proteggere e sostenere questi servizi ampiamente riconosciuti di eccellenza, che i loro figli hanno la possibilità di usufruire, senza lasciarsi influenzare acriticamente dalle tendenze del momento e senza adeguarsi a stili di vita sbagliati.