
“La mia è una storia che parte da lontano, da quando Enrico Rossi era ancora assessore alla Sanità”. Inizia così il racconto di Giovanni Cialdini, l’allevatore dell’azienda agricola Romilda che ieri sera, giovedì 28, ha aggredito il governatore della Toscana lanciandogli addosso un secchio di letame. Lo troviamo al lavoro all’interno della sua azienda, a metà strada fra La Serra e Corazzano. Con voce calma ma determinata spiega punto per punto le ragioni di un gesto che considera come l’azione estrema di chi, “fino ad oggi – dice – non è riuscito a farsi ascoltare”.
Un gesto che nasce dall’ormai noto problema della macellazione islamica, per protestare contro la normativa regionale che impone ai privati un limite di 40 capi da abbattere ogni anno. Un limite al quale Cialdini chiede da anni una deroga, almeno in occasione della Pasqua islamica, quando la sua azienda registra centinaia di richieste da parte dalla numerosa comunità di fede musulmana che vive nel comprensorio. “Una proposta logica e di buon senso” la definisce Cialdini, che metterebbe fine “al fenomeno della macellazione abusiva nei boschi e nelle case, permettendo al tempo stesso agli allevatori di lavorare e risollevare un po’ la propria difficile situazione economica”. Una proposta che Cialdini racconta di aver avanzato da anni, cercando inutilmente di parlare faccia a faccia con il presidente Rossi, che in passato è stato più volte ospite all’interno dell’azienda Romilda.
“Una legge da correggere”
“Da vecchio militante prima del Pc, poi dei Ds e infine del Pd – spiega Cialdini – ho sempre creduto nel mio partito e negli uomini del mio partito. Adesso, però, mi sono reso conto che quelle stesse persone si occupano di tante cose tranne di quelle che interessano concretamente la vita dei cittadini. Insieme a Enrico Rossi abbiamo iniziato a parlare del problema della macellazione halal da quando era ancora assessore regionale. E forse il presidente non ricorda di aver mangiato al mio fianco, alla mia tavola, e di essersi meravigliato del macello che avevamo realizzato con una struttura da ben 400 metri quadri”. Risale al 2009, infatti, la legge che Rossi portò in Regione per normare il problema della macellazione islamica. “Una legge, però – continua Cialdini – che conteneva in realtà una forte limitazione alla macellazione da parte dei privati. Tuttavia, per un nostro errore di interpretazione siamo andati comunque avanti nella realizzazione del macello. Una volta costruito ci dicono che non possiamo macellare più di 40 capi l’anno, quando la nostra struttura può arrivare fino a 80 capi al giorno. Ma non si tratta di un problema solo nostro, perché di fatto in Toscana, fino ad oggi, nessuno ha usufruito di questa legge. È evidente che c’è qualcosa che non va. Ancora oggi, eppure, non si è trovato il modo di correggerla, nonostante la materia sia di esclusiva competenza regionale e nonostante i ripetuti appelli a Rossi e al suo gabinetto”.
La proposta di una deroga
La normativa, secondo Cialdini, impedisce agli allevatori toscani di dare seguito alle richieste dei musulmani, alimentando in questo modo un fenomeno di illegalità diffusa. “La macellazione islamica avviene un solo giorno l’anno – spiega -. Ogni famiglia, in quell’occasione, sacrifica un agnello secondo i dettami del Corano. È chiaro quindi che gli allevatori non sono in grado di rispondere a tutte le richieste, ed è proprio per questo che anche il comune di San Miniato aveva autorizzato la costruzione di questa struttura, comprendendo che il territorio aveva bisogno di un altro macello. La proposta che in questi anni ho cercato di sottoporre a Rossi, senza mai riuscire ad incontralo direttamente, era quella di concedere un solo giorno di deroga in occasione della Pasqua islamica, facendo valere il limite di 40 capi per tutto il resto dell’anno. Questo permetterebbe ai cittadini islamici di macellare secondo le regole, pagando la macellazione, lo smaltimento e anche l’Iva, anziché macellare nelle case e nei nostri boschi sporcando l’ambiente. Allo stesso tempo si permetterebbe agli allevatori toscani di vendere e di lavorare, pagando così le rate dei mutui che non riescono più a saldare. Mi meraviglio che un pachiderma della politica come Enrico Rossi non riesca a capire la bontà di questa proposta. Continua a dire che ci sono delle norme da rispettare, quando in realtà l’unica norma da rispettare l’ha fatta lui ed è proprio lui che la potrebbe cambiare”.
“Se mi avessero fatto parlare il letame sarebbe rimasto al suo posto”
Ad ogni modo, a distanza di quasi 24 ore, Cialdini non sembra affatto pentito del gesto estremo al quale è arrivato dopo essere intervenuto al microfono. “L’ho fatto perché è un problema che interessa tutti gli allevatori, non solo me – spiega -. In Toscana ogni anno ci sono migliaia di capi che vengono macellati senza regole e senza alcune tutela igienico-sanitaria. Ero andato per dire questo e ho chiesto di intervenire. Sapendo che forse non mi avrebbero fatto parlare mi ero portato dietro un secchio di letame: prima di partire lo avevo ben diluito con l’acqua perché non volevo fare del male a Rossi. Se mi avessero fatto finire di parlare me ne sarei tornato a casa con il mio contenitore pieno di letame”.
“Anche il Comune è vittima”
Per l’allevatore, quindi, la Regione sarebbe l’unica responsabile di questa situazione, mentre “anche il Comune – dice Cialdini – è in qualche modo vittima. Se il sindaco non avesse creduto in questa struttura – afferma – non me l’avrebbe fatta realizzare. Il problema è nato per l’inaugurazione nel 2014, quando di fronte alle contestazioni degli animalisti il sindaco si lasciò sfuggire che noi non avevamo le autorizzazioni, quando in realtà c’erano sia le autorizzazioni sanitarie che quelle urbanistiche. Figuriamoci se mi fossi messo a realizzare una struttura abusiva da 400 metri quadri. In questi due anni sono stato più volte in Regione insieme all’assessore Gozzini per esporre il mio problema, ma siamo sempre tornati indietro con le ossa rotte. Comunque non è finita qui”.
Giacomo Pelfer
Gabriele Mori