


“Affermazioni gratuite, lesive della mia dignità e che servono solo a fare allarmismo”. L’imprenditore Paolo Vallini sceglie di rompere il silenzio, per replicare punto per punto alle parole pronunciate nell’ultima consulta di lunedì, e seguite pochi giorni dopo da una nota del gruppo “Tutela e rispetto per Ponte Egola”. La vicenda è quella relativa alla ex Icla, di cui Vallini è ancora legale rappresentante della società, oggi proprietaria dell’immobile che dal 2012 ospita le lavorazioni dell’impresa M3.
Una presa di posizione per correggere “alcune inesattezze” e togliersi qualche sassolino, spiegando quali sono i rischi reali previsti dalla legge Seveso e qual è la situazione attuale in merito al problema dell’amianto. Vallini prende le mosse proprio dalla consulta, alla quale non ha partecipato ma che ha potuto comunque vedere grazie al video realizzato da un amico. Da qui la risposta a Ilaria Brotini, 27enne, residente in via Nazario Sauro, che quella sera aveva preso la parola sollevando la questione M3.
“L’intervento della signora era supportato dalla lettura di alcune pagine: quindi un intervento ben ponderato e non a braccio, quando possono uscire anche parole non volute – dice Vallini -. Eppure, consapevole di quello che diceva e allo scopo evidente di scaldare la platea, ha parlato di radiazioni, di tumori e di possibili comportamenti delinquenziali dei proprietari e dei gestori. In particolare, quando Brotini ha detto che ‘si fa l’assicurazione sull’incendio, si fissa la ditta per la bonifica e quattro giorni prima si dà fuoco così paga l’assicurazione’, credo siano affermazioni gravissime che ledono la mia dignità ed onorabilità, e che mi riservo di approfondire e di valutare con i miei legali. Allo stesso modo, le dichiarazioni secondo cui ‘in caso di incendio le radiazioni sarebbero paragonabili a quelle di un disastro nucleare’, così come quelle di qualche altro signore che ha addirittura parlato di Chernobyl, sono gratuite e servono solo a fare allarmismo. Per non parlare del gruppo Tutela e rispetto per Ponte a Egola che ha scritto di essere ‘ostaggio di una delle 8 fabbriche toscane sotto legge Seveso’. Al di là del fatto che in Toscana le aziende soggette alla normativa Seveso sono circa 60, e senza contare che questa azienda ha dato lavoro a tante famiglie della zona, sia direttamente che come lavoro indotto, da oltre 40 anni non si verifica il benché minimo incidente, né piccolo né grande. All’Icla hanno lavorato anche alcune famiglie che abitano intorno alla fabbrica: basta attraversare via Nazario Sauro e siamo in casa loro. Se era la fabbrica dei veleni non ci sarebbero venuti”.
“È evidente – prosegue l’imprenditore – che l’attenzione degli enti preposti alla sicurezza all’interno e all’esterno è stato assiduo, costante e massimo. Le indicazioni date sono state recepite e attuate dall’azienda, l’Icla prima e la M3 ora, altrimenti non sarebbe stato possibile continuare a lavorare. Anzi, a maggior tranquillità di tutti, occorre ricordare che la ditta M3 detiene una quantità di prodotto lavorato decisamente inferiore a quella tenuta dalla Icla quando produceva”.
Lavoro e tumori
Inconcepibile, secondo Vallini, che la Icla venga ora additata come la possibile responsabile di malattie e tumori, come sottolineato proprio da Brotini nella consulta di lunedì: “Non so come nascano i tumori – aveva detto la ragazza – ma so che anche nella mia famiglia i casi ci sono stati. Come faccio a lascia correre?”. “Allora la signora Brotini avrebbe dovuto domandare a suo nonno perché venne a lavorare qui – ribatte Vallini -. Negli anni ’80 venne a raccomandarsi perché lo assumessi a lavorare dopo la chiusura del solettificio di cui era il titolare insieme ad altri soci. Si fa troppo alla svelta a criminalizzare un’attività che ha permesso alla famiglia di superare un momento di difficoltà economica e così andare avanti fino alla pensione. In ogni caso ho un buon ricordo di suo nonno: un ottimo dipendente, che non ha mai smesso di ringraziarmi per il lavoro che gli avevo dato”.
L’amianto
Altro tema caldo quello dell’amianto, per il quale Vallini fotografa la situazione provando a tranquillizzare i residenti. “Per quanto riguarda l’amianto – dice – posso dire che lo stato dei tetti è tutto sommato buono: non “spolverano” e quindi non disperdono nell’aria fibre di amianto (come rilevato dagli enti preposti ndr). Ci sono alcuni tetti in eternit, ma altri sono già stati sostituiti nel rispetto di un protocollo condiviso e approvato nel settembre 2011 dalla regione Toscana. In ogni caso la schiuma per la realizzazione del poliuretano, notevolmente ridotta a seguito delle prescrizioni degli enti di controllo, è stoccata in magazzini la cui copertura non è in amianto ma in materiali ecocompatibili. I magazzini con tetti in amianto sono vuoti, per cui le possibilità di accadimento di incidenti è nulla. Se l’impresa M3 dovesse crescere, andando ad occupare in modo stabile anche quei magazzini, c’è l’impegno da parte nostra a sostituire le coperture”.
La nube tossica
“È vero, come ha dichiarato qualcuno – prosegue Vallini – che un cerchio disegnato su una mappa non mette al riparo dai problemi, ma lo stesso vale anche per molte aziende non in Seveso, come dimostrato anche dal recete incendio alla vetreria Zignago e in altri casi avvenuti anche nel comune di San Miniato. Pensiamo ad esempio alla concia al cromo: se subisce un incendio, il cromo passa da trivalente ad esavalente diventando cancerogeno e letale: essere un’azienda non in Seveso, quindi non mette al riparo dal rischio di possibili nubi tossiche. Anche nell’eventualità di incendio del prodotto finito, il poliuretano, per le sue caratteristiche di combustibilità, tende a bruciare subito alimentando le fiamme e depositando pochissimo al suolo”.
La legge Seveso
L’imprenditore, quindi, precisa che l’applicazione della legge Seveso, per la M3 e prima ancora per la Icla, è determinata solo dall’utilizzo di un indrocarburo chiamato Tdi: “All’interno di una collinetta al centro dello stabilimento – spiega Vallini – abbiamo realizzato un bunker in cemento armato all’interno del quale viene stoccato il Tdi. Quando nel maggio del 2011 comunicammo l’intenzione di cessare la produzione, l’azienda continuò a produrre fino al 22 giugno proprio per terminare le scorte di Tdi e comunicare all’Arpat che non eravamo più in Seveso. Già a luglio, però, gli imprenditori della futura M3 si presentare a visitare l’azienda. Anche se i tempi burocratici per il subentro si sono poi allungati, in realtà questa azienda non ha mai chiuso, contrariamente a quanto si sente ripetere spesso”.
Il punto di vista scientifico
La legge Seveso va a normare in termini di protocolli di sicurezza alcune aziende che, nel loro ciclo di lavorazione, utilizzano sostanze potenzialmente pericolose in caso di incendio o comunque incidente definito appunto rilevante. L’inserimento della produzione del poliuretano espanso nella normativa Seveso e successive modifiche, deriva dal fatto che nel ciclo di lavorazione del poliuretano, per la produzione della gommapiuma quindi, vengono utilizzati vari composti chimici che reagendo tra di loro creano prima un gel e poi una schiuma, alcuni sono innoqui o comunque non pericoloso. Tra i vari composti compare il Tdidiisocianato di toluene, l’idrocarburo che porta all’attenzione della legge Seveso la lavorazione del poliuretano espanso, in quanto questa sostanza, in caso di combustione, rilascia dopo il processo di dissociazione i cianati, ovvero composti anionici e quindi potenzilamente molto reattivi: sono il gruppo N=C=O che sono presenti nella molecola del Tdi. Per la legge, quindi, il rischio è rappresentato più dalla combustione di questo idrocarburo che non del prodotto finito che deve comunque essere stoccato e conservato secondo alcuni accorgimenti. Per ridurre o addirittura azzerare il rischio di combustione del Tdi le prescrizioni degli enti preposti al controllo dell’azienda hanno dato una serie di prescrizioni all’azienda già parecchi anni fa.
“Noi per lo stoccaggio della Tdi abbiamo ricavato un bunker di cemento armato in una collina vicina all’azienda. In questa cella di sicurezza è presente un impianto sensibile al calore e al fumo che in caso di un principio di combustione satura l’ambiente con il Co2, l’anidride carbonica, determiando quindi dalla camera l’espulsione dell’ossigeno, il comburente e soffocando combustione. Non solo – continua Vallini – Vi sono dei momenti del ciclo produttivo in cui il Tdi viene movimentato per lo scarico e il successivo stoccaggio: l’intera area in cui si va a operare è circondata da un sistema di griglie che in caso di sversamento accidentale impedirebbero che il composto arrivi nell’ambiente circostante, nelle falde o nella fognatura. Le griglie sono collegate a un vasca in grado di contenere lo sversamento del Tdi che poi verrebbe recuperato”.
Dal punto vista stretttamnete scientifico, quindi, risulta erroneo parlare di radiazioni nucleari, o paragonare un eventuale incidente alla M3 con il disastro di Cernobyl. Questo non significa che un incidente non potrebbe essere potenzialmente pericoloso per le sostanze rilasciate tra cui gli isocianati o le polveri, ma in forma assolutamente diversa. Qui si parlerebbe di inquinamento da sostanze chimiche che non hanno niente e che vedere,dal punto di vista scientifico, con una reazione nucleare e con gli isotopi radiottivi capaci di alterare le molecole del Dna.
Giacomo Pelfer
Gabriele Mori