


Le parole chiave sono semplificazione, snellimento delle procedure, certezza dei tempi e chiarezza nei ruoli e nelle responsabilità. Sono gli obiettivi del nuovo Piano di gestione del rischio alluvioni (il cosiddetto Pgra) che dal 2016 ha rimpiazzato i vecchi Piani di assetto idrogeologico (i Pai). Se n’è parlato oggi pomeriggio a Santa Croce, grazie all’iniziativa organizzata dall’associazione Laboratorio Valdarno, che ha portato nella saletta Vallini della bilioteca tecnici ed esperti del settore. Assente l’assessore regionale Federica Fratoni che all’ultimo momento non ha potuto essere presente all’iniziativa.
Attraverso i vari interventi, sono state illustrate le principali novità del nuovo sistema di prevenzione contro il rischio idrogeologico, la cui filosofia nasce anche dalla presa d’atto degli effetti che i cambiamenti climatici stanno avendo nella gestione del territorio e quindi nelle politiche di prevenzione. “Per prima cosa, a differenza dei Pai, non si parla più di ‘messa in sicurezza’ ma di ‘gestione del rischio’, perché in un territorio come il nostro non esiste un rischio zero, ma piuttosto possiamo mitigare e gestire al meglio ciò che può accadere”, ha spiegato Marcello Brugioni dell’Autorità di bacino del fiume Arno, che ha contribuito in prima persona alla stesura del nuovo Pgra.
A livello organizzativo, in particolare, il nuovo sistema prevede un superamento proprio delle stesse Autorità di bacino, che andranno a confluire all’interno di cosiddette Aree distretto. Nel caso della Toscana, tutti i bacini idrografici regionali (ad eccezione della Valtiberina aretina) saranno inseriti nel distretto dell’Appennino settentrionale, insieme alla Liguria, alle Marche, a parte dell’Emilia Romagna e ad alcune zone dell’Umbia (escluso appunto il bacino del Tevere).
A differenza del Pai, invece, che entrava direttamente nel merito delle autorizzazioni edilizie, il Piano di gestione del rischio si occuperà principalmente di prevenzione, “inquadrando il territorio rispetto a ciò che può accadere – ha spiegato Brugioni – stabilendo un’apposita disciplina che sarà divisa in ‘norme’ e ‘indirizzi’. Le ‘norme’ indicheranno ovviamente se e come deve essere realizzato un intervento: rispetto al vecchio Pai, in particolare, le classi di pericolosità passano da 4 a 3, mentre viene fissato il divieto di costruire edifici di pubblica utilità, in particolare scuole e ospedali, in zone di pericolosità 3. “Questo perché, pur rispettando tutte le prescrizioni previste dalle norme – ha detto Brugioni – c’era il rischio comunque di creare delle isole inaccessibili”.
“Contrariamente al Pai, invece – ha proseguito Brugioni – gli ‘indirizzi’ diranno come agire in certi contesti, poi sarà la legge a decidere come applicarli”. In pratica, sulla base degli ‘indirizzi’, sarà la regione a stabilire cosa può e non può essere fatto, stabilendo regole che poi i comuni sano chiamati a loro volta ad applicare nei rispettivi regolamenti urbanistici. “Rispetto al vecchio sistema – ha sottolineato Brugioni – nel quale il comune doveva chiedere un parere a tutti gli enti competenti, compresa l’Autorità di bacino e il Genio civile, adesso c’è un sistema lineare in 3 passaggi: Autorità di bacino, regione e infine i comuni. Gli obiettivi sono la semplificazione, la chiarezza nei ruoli e nelle responsabilità, lo snelimento delle procedure, l’aggiornamento per aree vaste e una maggiore certezza di tempi e regole”.
Simone Pagni, invece, esperto di valutazione ambientale, ha sottolineato anche la necessità per i comuni di aderire al cosiddetto ‘Patto dei sindaci’: “Un intervento volontario – ha detto Pagni – che la regione mette a disposizione dei comuni per sostenere politiche contro i cambiamenti climatici”. Tra i relatori, infine, sono intervenuti anche Claudia Di Passio della direzione urbanistica della regione Toscana e Francesco Pistone del Genio civile. (g.p.)