
All’indomani del ritrovamento, nel bacino di Roffia, del corpo senza vita di Mario Petrozzino, l’ipotesi iniziale di un probabile suicidio sembra diventare meno plausibile, confermando quanto si era evidenziato dopo il ritrovamento del corpo (leggi qui Il corpo era sotto un pontile. Ritrovato il cadavere del pensionato scomparso nella zona del bacino di Roffia. Mancava da casa da lunedì mattina).
I primi a non credere al gesto volontario sono i familiari dell’uomo, che ieri non lo avevano visto rientrare a casa per il pranzo e poi hanno dato l’allarme. “Era andato al lago per prendere una misura – racconta il figlio –. Non ci sono ragioni per pensare al suicidio”.
In un primo momento, infatti, l’ipotesi più plausibile era apparsa quella del gesto volontario: l’uomo aveva lasciato il furgone aperto a pochi metri dalla riva del lago, con all’interno gli occhiali e i documenti. Da qui le ricerche, condotte prima all’interno del bacino con un’imbarcazione dei vigili del fuoco. A dare la svolta, però, era stato il racconto dei ragazzi della Canoa San Miniato che, parlando con i carabinieri, avevano rivelato che Petrozzino, anni fa, aveva lavorato alla realizzazione di uno dei pontili, riparandolo anche dopo la piena del gennaio 2014. L’intervento dei sommozzatori ha confermato i sospetti, trovando il corpo proprio lì, sotto quel pontile che lui stesso aveva realizzato e al quale, secondo i familiari, era intenzionato a rimettere le mani. “Faceva dei lavoretti che si ostinava a portare avanti nonostante l’età – racconta il figlio -. Aveva lasciato il furgone aperto perché sapeva di doversi fermare un attimo, giusto il tempo di prendere una misura”.
Una testimonianza che sembra avvalorare l’ipotesi di un malore o di un annegamento accidentale. A fornire ulteriori elementi sarà l’autopsia disposta dal giudice. (e.v.)