
“Non solo per quello”, precisa. Ma se il mandato del sindaco di Santa Croce sull’Arno Giulia Deidda dovesse essere ricordato per una cosa e una soltanto, allora lei sceglierebbe la rivoluzione viabilità (dopo essere stata l’assessore che ha introdotto il porta a porta). Uno dei problemi ai quali Santa Croce si è arresa, ma che per lei, urbanista di formazione e che fa politica da sempre con spirito di servizio, è la missione.
Una rivoluzione, quella che ha in serbo, che gestisca la viabilità santacrocese invertendo la filosofia prima del senso di marcia: ora tutte le strade portano fuori dal centro storico, dopo tutte le strade convergeranno al centro, con la strada tra Castelfranco e Fucecchio (Francesca bis) a fare da tangenziale, che porta via il traffico che il centro non lo vuole toccare. Una rivoluzione copernicana davvero, che è solo la punta di un iceberg di proposte che parte da un assunto: “Santa Croce ha tutto – spiega Deidda -, ma molto ha bisogno di una manutenzione straordinaria”.
Una laurea in Urbanistica e l’incarico di sindaco a Santa Croce sull’Arno, come li concilia?
“Ci sono molte cose da fare, anche se in gran parte si tratta di mettere mano ai sensi di marcia. Partendo da un’idea di fondo: facilitare l’accesso al centro e non ostacolarlo, come succede adesso. Veicolando altrove il traffico che al centro non è diretto, sfruttando le strade esterne che sono anche più grandi. Una rivoluzione che potrebbe richiedere tempo, ma che stiamo esaminando nel suo complesso: vogliamo rimettere mano alla viabilità dal centro fino a viale Di Vittorio e da via Donica a Castelfranco. Servono cambi di senso di marcia sui quali stiamo ragionando e la revisione delle due grandi rotatorie. Tenendo fermo l’obiettivo di riqualificare piazza Matteotti, al centro di un progetto che considera la presenza del mercato. Poi ci saranno gli interventi di manutenzione: non ce la facciamo a intervenire su tutto il tratto, ma entro il 2015 affideremo alcuni lotti della Francesca Bis. Con un indirizzo di giunta, abbiamo appena dato mandato agli uffici di lavorare in due direzioni: l’applicazione del baratto amministrativo, come ultima ipotesi, perché io sono convinta che le tasse si devono pagare e sulla modifica del regolamento per l’adozione del verde. Molte zone a verde sono già state adottate, ma dobbiamo lavorare su un piano di incentivazione, che invogli i cittadini a fare di più per la propria città”.
Una città pronta a cambiare, non solo nei sensi di marcia. Cosa ne pensa del comune unico il sindaco di quello che dovrebbe inglobarne altri 6, in un’ipotesi che ha scatenato un dibattito anche forte sulla “capitale” del comprensorio?
“Non credo che moriremo tutti santacrocesi. Credo che siamo diversi e che questa diversità sia un valore. Credo anche, però, che questa sia la strada giusta, per percorrere la quale è necessaria una riforma istituzionale fatta dall’alto e condivisa dal basso, ascoltando la gente. Specie dopo la riorganizzazione delle province, i comuni così come li conosciamo ora sono destinati a sparire: questo è il primo passo di un processo che durerà anni, che non terminerà certo con i nostri mandati e che, quindi, dobbiamo sostenere per il bene di tutti, guardando in prospettiva un processo che porterà questo comune dall’avere 15mila abitanti ad averne 150mila. Non è solo l’Irpet a mettere insieme i comuni del Cuoio: di distretto produttivo di Santa Croce parla anche la Regione. Quello che mi preoccupa, semmai, è come garantire, con questi numeri, lo stesso contatto tra sindaco e cittadini che c’è ora: io ricevo, incontro, parlo ma sarebbe difficile con una popolazione tanto ampia. Serve immaginare qualcosa, come le municipalità o le vecchie circoscrizioni, che garantiscano di non perdere questo contatto, ciascuna con il nome attuale. Una città policentrica, insomma, che va da Fucecchio a Santa Maria a Monte. Non ci tengo che il comune unico si chiami Santa Croce, non mi pare giusto. Ma non mi piace neppure Valdarno Inferiore, perché Inferiore mi suona squalificante. Una soluzione potrebbe essere Città del Cuoio o qualcosa che ci identifichi tutti in modo analogo. Dentro questo, però, ciascuno è libero di restare ciò che è, non in termini di campanili, quanto di storia, tradizioni, percorsi fatti e da condividere, ma non cancellare o fondere. Mi preoccupano, poi e non poco, le funzioni: a Santa Croce, in questo momento, mancano due operai al cantiere. Io non posso assumere se non chi si trova nelle liste dei dipendenti ex provincia. Lì, però, le figure che mi servono non ci sono. Per legge, ogni anno devo spendere in personale 1 euro in meno rispetto a quello prima: se io non assumo due persone, il prossimo anno, in pratica, mi trovo con due persone in meno in pianta organica. Credo che prenderò un vigile e un amministrativo, che mi servono, certo, ma che sono meno urgenti degli operai”.
La vicenda dell’ex Cristallo e l’emergenza profughi, ma a Santa Croce si parla spesso di immigrati e integrazione…
“Santa Croce governa i flussi migratori dagli anni ’90. Per necessità, oltre che per attenzione, ci troviamo da anni a dover dare attenzione a progetti che agevolino i processi di integrazione. Spendiamo 25mila euro per un progetto intercultura alle scuole medie e non ci togliamo neppure 1 euro perché siamo convinti che è da lì che nascono i principi che rendono sana e naturale l’accoglienza e la comprensione reciproca, base necessaria per costruire una società migliore, in cui tutti si sentano a casa. Perché i soldi che spendo per insegnare l’italiano agli stranieri in una classe vanno a vantaggio dei santacrocesi, che possono andare avanti spediti con il programma e imparare in un clima sereno, dove tutti lavorano allo stesso modo, imparando a conoscersi. Poi so anche che c’è una percezione di insicurezza. I dati ci raccontano una città sicura, ma se i miei cittadini non si sentono al sicuro, io non posso rispondere con i dati, devo agire su questa percezione. Posso migliorare la qualità urbana, convinta che una città pulita e ordinata aumenti anche il senso di sicurezza. Abbiamo tolto l’amianto dalle scuole, lo stiamo togliendo dalla casa di riposo, siamo intervenuti con manutenzioni straordinarie su quasi tutti i plessi scolastici, stiamo lavorando su due nuovi parchi e anche la ciclopista di Montefalcone è in dirittura d’arrivo. Abbiamo appena ottenuto un mutuo per togliere l’amianto dallo stadio Buti e abbiamo messo in sicurezza più di 100 alberi, tanto che il forte vento dello scorso 5 marzo, è riuscito a danneggiarne solo uno. E posso agire sulla distribuzione: la mia battaglia contro l’accoglienza al Cristallo non è stata contro quei ragazzi, ma contro il metodo che ha provato a imporci una scelta non condivisa, basata su un’accoglienza massiva in un luogo non idoneo. Ecco, questo non è quello che facciamo a Santa Croce. A Santa Croce lavoriamo insieme, con associazioni che conosciamo da sempre, puntando all’integrazione e non all’isolamento. Un privato ha appena ristrutturato 3 appartamenti che ci ha messo a disposizione: prima saranno usati per l’emergenza profughi, poi per quella abitativa. A Santa Croce sono in corso una 20ina di sfratti”.
Non solo distretto produttivo. Ieri è partito il Pop fest, in corso c’è Stasera pago io! e l’elenco è lungo. Qual è l’obiettivo?
“Vogliamo continuare a essere una città dove si dorme e si lavora, certo, ma anche dove si possono fare cose. Nell’ottica di una cultura pubblica e aperta a tutti. Se uno ha la possibilità, di cose belle da fare e vedere, in Italia, ce ne sono tante. Quello che vogliamo fare, è offrire a tutti cultura, musica, divertimento perché chiunque se lo merita, ma anche per creare un’abitudine al bello che si possa fruire con piacere e senza spendere una fortuna. Quest’anno, il nostro teatro compie 30 anni, nei quali abbiamo avuto 500mila spettatori e 1.200 spettacoli. Solo quest’anno ne abbiamo in cartellone 50, oltre ai laboratori. Abbiamo anche portato il teatro fuori dal teatro, con Tutti al centro che è stato un esperimento riuscito. Proviamo a gettare le basi anche per qualcosa di diverso, che magari induca le compagnie a fermarsi a Santa Croce, a dormirci, a mangiarci. Di contenitori ce ne sono tanti, a partire dal palazzetto, che può ospitare molto di più che il solo sport”.
Nel futuro di Giulia, c’è ancora la politica?
“La politica la frequento da quando sono piccola con spirito di servizio. E poi mi ci sono trovata un po’ per forza e anche perché io, a questo paese, gli voglio bene e non riesco a pensarmi altrove. Però penso che i cittadini abbiano una grande arma che è il voto. Non penso che nel 2019, quando scade il mandato, potrei ricandidarmi se non sono davvero convinta del mio operato. Credo che allora farò un’analisi, consapevole di poter sbagliare come tutti e con i grandi obiettivi che mi ero posta davanti agli occhi: se penserò di essere stata fedele al mio mandato e alla gente, allora e solo allora, mi ricandiderei”.
Elisa Venturi