“Legnate ai giornalai che diffondono fake news”: per chi lo scrive c’è il codice penale

Diffamazione e minacce dietro i commenti sui social delle notizie. Moderare le discussioni non basta più
Siamo diventati migliori a causa della pandemia? Viene da dire che proprio non è così.
Sia chiaro, ognuno la può pensare nella maniera che vuole sia riguardo al coronavirus sia per qualunque argomento. Può essere condizionato dalle tifoserie e dalle ideologie. Può anche essere negazionista, no vax, no mask, a patto che rischi soltanto del suo e, finché saremo in uno stato di diritto, rispetti le regole.
E le regole dicono alcune cose precise. Due esempi su tutti.
Prima cosa: l’articolo 595 del codice penale, vigente, che recita “Chiunque… comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a 1032 euro. Se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato, la pena è della reclusione fino a due anni, ovvero della multa fino a 2065 euro. Se l’offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità… la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a 516 euro”.
E questo solo per il lato penale. Dal punto di vista civilistico, è ovvio, ne possono conseguire richieste di risarcimenti per il danno di immagine sia alle persone fisiche sia alle persone giuridiche.
In questa ‘casistica’ rientrano anche i messaggi di quegli intellettuali da tastiera che si scatenano soprattutto sui social a commentare in particolare le notizie riguardanti la diffusione del contagio da coronavirus, notizie validate e diffuse dagli enti pubblici territoriali. Mettere in dubbio, come viene ripetutamente fatto nei commenti delle nostre pagine social, la professionalità dei giornalisti, affermare che diffondano fake news, rientra a pieno titolo nel reato di diffamazione. E sbaglia chi pensa di trincerarsi dietro profili falsi o di fantasia, visto che le autorità possono richiedere ai social network i dati di log per individuare i responsabili. Che, a occhio e croce, non paiono essere degli hacker di livello internazionale modello anonymous.
C’è poi un altro articolo del codice penale che è bene conoscere: “Chiunque minaccia ad altri un ingiusto danno è punito, a querela della persona offesa, con la multa fino a 1032 euro. Se la minaccia è grave… la pena è della reclusione fino a un anno”. Stessa pena, viste le aggravanti, se la minaccia viene effettuata in forma anonima.
E anche in questo caso non mancano le occasioni, sempre sui social, sempre rivolte alla nostra testata (ma i casi sono ormai diffusi), in cui qualcuno, appellandoci ‘giornalai’ ricorda come per stoppare la diffusione di notizie legate a virus e contagi, servirebbero delle ‘legnate’. Come se affermare una cosa del genere, peraltro con tanto di like, possa essere una cosa non solo lecita, ma anche socialmente accettabile.
Eppure queste situazioni si moltiplicano ogni giorno che passa e su qualunque argomento. Dalla cronaca alla politica, dalla cultura allo sport. A tal punto che, a volte, non è più neanche consigliabile postare sui social network un augurio, con foto, per un compleanno o una laurea. Perché anche in quel caso qualche offesa pesante, qualche velato dubbio di ‘nepotismo’, qualche ‘che notiziona…’ buttato là, a svilire il lavoro di una redazione intera, che fa informazione gratuita (non c’è neanche da compiere l’atto di tirare fuori uno o due euro dal taschino o di scroccare il quotidiano al bar) praticamente nell’arco delle 24 ore.
Ritengo che, in futuro, su queste situazioni saremo intransigenti. E non lo faremo impedendo a qualcuno di esprimersi con gli strumenti dei social. Ma con quelli della legge. Hater avvisati…