Calzaturiero, Cgil: “Distretto può sparire in pochi anni”

18 novembre 2015 | 18:34
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Calzaturiero, Cgil: “Distretto può sparire in pochi anni”

L’ultimo caso è stato quello della Criloga, il calzaturificio nella zona industriale Fontanelle, nel comune di Montopoli, che dallo scorso venerdì ha ufficialmente chiuso l’attività. Trentadue le persone in mobilità, nonostante gli investimenti fatti pochi anni fa per un’azienda considerata da molti giovane e sufficientemente dinamica per tenere il passo del mercato. Invece non è bastato. Ma per il distretto calzaturiero del Cuoio si tratta solo dell’ultimo campanello dall’allarme, a testimonianza di un crisi costante che non sembra intenzionata a fermarsi.

Un po’ di storia
Basta fare mente locale, del resto, per rendersi conto di quanto il settore della calzatura, fra i comuni del Valdarno, risulti fortemente ridimensionato rispetto a pochi anni fa, con la scomparsa di imprese storiche e poche, rare eccezioni che davvero appaiono in salute. Senza andare troppo in là con gli anni, ad esempio, si ricorda il caso del calzaturificio Gemini di Santa Maria a Monte, marchio dalla designer Gianna Meliani: oltre 100 dipendenti oggi ridotti a poco più di 30. Nel 2013, invece, era stato la volta del calzaturificio Lorbac, il più grande di Castelfranco, che ha chiuso definitivamente e nel peggiore dei modi una delle storie più gloriose del distretto. E ancora negli ultimi anni se n’è andata l’Industria calzaturiera Marros di San Miniato Basso, alla quale vanno aggiunte le tante imprese che un passo alla volta stanno assottigliando il personale.
Il confronto con l’area fiorentina
Ce n’è abbastanza per lanciare l’allarme. Soprattutto se si tenta un confronto con il distretto calzaturiero dell’area fiorentina: pochi chilometri di distanza, solo un confine provinciale quanto mai labile, ma che in questo caso sembra marcare una differenza netta. Per provare ad analizzare le cause di questa diversità abbiamo interpellato Loris Mainardi della Cgil, che senza giri di parole parole disegna un quadro quanto mai complicato per il calzaturiero pisano: “Io l’ho sempre detto – esordisce – Se non ci diamo un’organizzazione diversa tra 5 anni il calzaturiero pisano non esisterà più”.
I fattori della crisi
Diversi i fattori che secondo Mainardi hanno determinato questa situazione. In primis la mancanza di collaborazione fra le stesse aziende del distretto: “I calzaturifici di questa zona, molto spesso, pensano ancora a farsi concorrenza tra di loro, senza riuscire a fare squadra a livello organizzativo. Su questo il calzaturiero dovrebbe imparare dal conciario”. Al secondo punto la qualità del prodotto che secondo Mainardi il comparto della zona avrebbe in parte abbandonato. “Dall’altro lato, però – riprende il sindacalista – anche chi si era abituato a lavorare con le firme adesso tira il fiato, alla luce della difficoltà accusata dalle stesse griffe. In questo influisce anche un mercato che spinge molto sulla diversificazione del prodotto: mentre qualche anno fa con un unico prodotto un calzaturificio metteva insieme il 60 per cento del proprio fatturato, adesso per fare altrettanto servono 6 o 7 prodotti diversi”. Altro punto debole, una certa “arretratezza” di molte aziende rispetto alle nuove sfide del mercato: “Purtroppo – aggiunge Mainardi – dobbiamo dire che molte aziende in questa zona non sono organizzate per poter lavorare con certi clienti. Sarebbe auspicabile che più aziende provassero a collaborare, magari aprendo uno spaccio assieme per promuovere i propri prodotti e farsi conoscere. In un settore come quello calzaturiero, che non può far leva sull’esclusività del prodotto come avviene nel conciario, sarebbe necessario a maggior ragione riuscire a fare sistema sul modello del distretto fiorentino”.
Il grande rimpianto
Sarebbe questa, in sintesi, la differenza principale che invece permette ai calzaturifici della sponda fiorentina di continuare a lavorare reggendo i colpi della crisi. “Ed è un peccato – conclude Mainardi – perché alla fine questo sarebbe l’unico distretto in Italia (e probabilmente nel mondo) dove entrano pelli grezze ed escono scarpe, borse e cinture. In questo settore potremmo essere i dominatori. Invece non è così”.

Giacomo Pelfer