“Ci sono giornate a incasso 0, siamo con l’acqua alla gola”. Nel Borgo che vorrei debuttano aperi box e corsi on line
“Se non ci aiutano, chiudiamo tutti”. E c’è chi prova a reinventarsi mentre pochi non hanno risentito del nuovo Decreto
Scelte di vita ribaltate completamente nel giro di pochi mesi, investimenti di tempo e denaro, sacrifici e impegno cancellati da una pandemia che ha messo in ginocchio interi settori dell’economia. E purtroppo, a volte, a farne le spese sono i più piccoli: i commercianti dei borghi o quelli che hanno aperto da poco la loro attività e hanno faticato per farsi un nome. Il ritratto perfetto delle difficoltà dei “piccoli” è il centro storico di Santa Maria a Monte, con il progetto Il borgo che vorrei che da anni cerca di decollare e che rischia di essere spazzato via dai decreti governativi volti a contenere la diffusione del contagio.
Se è vero che le regole sono uguali per tutti, altrettanto non si può dire delle conseguenze derivate dalla loro applicazione. Un esempio: chiedere a un bar di paese di chiudere alle 18 non è come chiederlo al titolare di un locale nel centro di una grande città, dove il flusso di avventori è notevole a tutte le ore del giorno. Chiedere a una piccola attività, dietro a cui stanno famiglie con impegni e imprevisti, di spostare il loro lavoro dalle ore serali a quelle del pranzo, non è così scontato.
Eppure, i commercianti ci provano: con le idee, con l’inventiva, con altri sacrifici cercano soluzioni alternative che possano alleviare le pene che stanno attraversando. Come la nuova gestione del Bar Centro storico, fresca di inaugurazione lo scorso 26 settembre che sta studiando degli aperitivi da asporto. Una sorta di “aperi-box” invece che di “lunch box”. “In un mese è presto per fare un bilancio – ha detto la titolare Cristina di Vito -, ma questi provvedimenti vanno a colpire le persone e le loro famiglie. Noi siamo agevolati dal fatto che abbiamo aperto con il progetto Il borgo che vorrei e che il comune di Santa Maria a Monte, nel suo piccolo, è un comune che ascolta”. Quella del Bar Centro storico è una scommessa ancora aperta: “In ballo c’è anche la pizzeria nella sala accanto – ha spiegato la dipendente Martina, che ha aggiunto con una certa preoccupazione – con la chiusura alle 18 perdiamo l’80 percento degli incassi”.
Anche Tapassion 2.0 studia nuove strategie: partirà sabato il corso di vino online. In tempi di pandemia anche le degustazioni si fanno in video. “Porterò io il vino a casa – ha spiegato Fulvio Pratesi, il titolare di Tapassion, che ha già consolidato anche l’asporto e il domicilio -. Già a marzo abbiamo sperimentato asporto e consegna a domicilio e ci siamo trovati benissimo: permette di sopravvivere. Certo, non è come avere i clienti qui, ma abbiamo fatto anche più di 50 persone in una sera. La mia fortuna è che la mia azienda ha un solo dipendente, ma non vorrei essere nei panni di chi ha molte persone a lavoro”. Certo anche per Tapassion i cambiamenti ci sono stati: da essere un locale aperto solo a cena adesso farà i pranzi e dopo le 18 partirà, come a marzo, la consegna da asporto o a domicilio. “Non siamo a Milano o a Roma – ha raccontato il dipendente e lo chef Giulio Talarico – dobbiamo entrare nella vita di paese”.
Un provvedimento, la chiusura alle 18 di bar e ristoranti, che non giova nemmeno agli imprenditori che non lavorano nel campo della ristorazione. Questi, merita ricordarlo, non hanno vincoli di orario. In una rete di vicinato come quella di Santa Maria a Monte, l’aperitivo al bar era anche la scusa per gettare un occhio alla vetrina del negozio di abbigliamento. D’altronde, questo era lo spirito del progetto Il borgo che vorrei: portare gente in centro e sostenere il commercio in un gioco di equilibrio reciproco.
“Io dovevo aprire dentro al Cineplex di Pontedera – ha detto Andrea Ruberti, titolare del Tattoo in via Carducci -, poi ho visto che Santa Maria a Monte era un borgo in rinascita e ho voluto scommettere. In estate ho lavorato bene, dopo il primo lockdown. Ora, però, le persone hanno paura di un secondo lockdown, hanno paura di rimanere senza soldi e se hanno 100 euro li spendono per altro, non per il tatuaggio che è una spesa secondaria e rimandabile. Ho aperto ad agosto 2019 e ho retto alla prima botta, ma la seconda sarà dura. Sto rivalutando come reinventarmi, mi occupo anche di grafica e ho ricevuto alcune offerte anche da quel settore. Non chiudo, ma il lavoro si è fermato lo stesso”.
Discorso simile anche per Arianna Capitani, titolare dell’edicola e cartoleria La Matita: “Non si vende da 20 giorni – ha detto Capitani -, le persone hanno paura di uscire. Meno male che non paghiamo l’affitto, ma le altre spese ci sono lo stesso. Arrivare a fine giornata con gli incassi a zero è brutto. Gli aiuti per la prima ondata sono serviti solo a pagare le tasse e coprire le spese, ma stavolta, se non ci danno niente, chiudiamo tutti: siamo già con l’acqua alla gola”. La critica è quella di una risposta debole del governo e arriva proprio nelle ore in cui il presidente del Consiglio Giuseppe Conte lancia il cosiddetto “decreto ristori”, volto, appunto, a sostenere le aziende colpite da chiusura o da limitazioni.
Ma il problema principale per le attività commerciali è l’incertezza del futuro. L’impossibilità di programmare gli ordini e i progetti rende aleatoria qualsiasi scelta e lascia in bilico gli imprenditori che reclamano più certezze. “Per Natale – si chiede amareggiata Capitani – cosa dobbiamo comprare se le persone non vengono?”. È evidente, quindi, che ci sono delle conseguenze anche per chi non è direttamente colpito dal Dpcm del 24 ottobre, come nel caso delle edicole e dei negozi di abbigliamento o altro. Perché la ristorazione è il settore che spinge le persone a uscire di casa. “Noi non abbiamo limiti di orario – ha spiegato Christian Contessa di Sorry I’m different, anche questo negozio aperto da sole due settimane – ma se chiudono i bar e i ristoranti chi viene a comprare da noi? Non è un bel periodo: con gli altri commercianti del centro stavamo pensando a degli eventi ogni sabato ma questo Dpcm ci ha tagliato le gambe. Noi in questo momento puntiamo sull’online, ma abbiamo anche un negozio che vogliamo e dobbiamo coltivare”.
Situazione diversa per il bar Luna Rossa, storico di piazza della Vittoria e che quindi non è tra le attività aperta con il progetto Il borgo che vorrei. “A noi cambia poco – ha detto Anna Maria Garda – perché non facciamo apertivi, ma capisco che per altri bar e per i ristoranti non è facile. Noi anche da prima abbiamo sempre lavorato sulle colazioni”. E anche per l’alimentari Tesori tipici campani e toscani c’è stata poca differenza: “Sull’esperienza del vecchio lockdown – hanno spiegato Alfonso di Tonno e Dario Novi – l’unica cosa che abbiamo notato è una diminuzione delle vendite a chi viene da fuori comune. Ma chi sta in paese, anche per evitare di andare al supermercato, viene. La perdita più rilevante per noi è stata quella delle fiere e dei mercati”.
Seppur nel piccolo del borgo, il quadro è variopinto. Le conseguenze delle prescrizioni non sono mai uguali perché ciascuno ha dato alla propria attività un taglio diverso. Tra le altre cose, c’è un dato da sottolineare: il fatto che a due giorni dall’entrata in vigore del nuovo decreto molte delle attività di Santa Maria a Monte dovevano ancora riorganizzarsi. Affissi sulle vetrine gli orari “vecchi”, quelli che consentivano di stare aperti anche dopo le 18, o comunque saracinesche abbassate nonostante l’orario consentisse di restare aperti. Segno, forse, di cambiamenti veloci che mal si conciliano ai ritmi, più lenti, della Chiocciola.