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Turismo, “Una struttura su due non ce la farà”. Prenotazioni solo dopo luglio, a rischio l’annata. Federalberghi: “Il 70% per cento degli stagionali non lavorerà”

26 aprile 2020 | 13:33
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Turismo, “Una struttura su due non ce la farà”. Prenotazioni solo dopo luglio, a rischio l’annata. Federalberghi: “Il 70% per cento degli stagionali non lavorerà”

“Serve investire in liquidità e promozione” perché “il problema è che manca completamente la domanda”

Il problema non è come ripartire. Ma se ne vale la pena. Perché le strutture possono anche organizzarsi per garantire l’offerta, ma il problema è che manca completamente la domanda. “E quando un giorno la domanda tornerà forse sarà l’offerta a mancare, perché tante aziende non ce la faranno”. C’è la dimensione di un dramma nelle parole degli albergatori. Il dramma che attanaglia il futuro del più penalizzato dei settori, quello dell’accoglienza e del turismo.

L’unico settore per il quale la data del 4 maggio non significa assolutamente niente. Primo perché nessun decreto, in teoria, ha mai imposto ad alberghi, case vacanze e bed & breakfast di chiudere i battenti, ma c’ha pensato la scomparsa totale della clientela. “E secondo perché adesso, anche volendo, cosa riapriamo a fare?” si chiedono gli albergatori. In un mondo paralizzato dalla pandemia, con una riapertura che forse sarà limitata ai soli confini regionali, ma soprattutto con regole di distanziamento che rischiano di penalizzare l’offerta delle strutture, la prospettiva di lavorare in perdita per tutto il 2020 è quasi una certezza, con un inevitabile bagno di sangue per l’occupazione.

Cancellazioni e incertezze

Del resto le prenotazioni sono già polverizzate, da maggio fino a tutto giugno, mentre a luglio e ad agosto qualche gruppetto di stranieri ancora resiste, nella speranza di non dover rinunciare al sogno di un’estate in Toscana. Succede così anche negli alberghi di San Miniato, dove la clientela business che riempie la gran parte delle camere è ferma insieme alle aziende del distretto, mentre il turismo puro è scomparso completamente.

“Se nei prossimi mesi avremo una domanda di 2 camere a notte, è normale chiedersi se valga la pena riaprire e continuare a pagare bollette, affitti e quant’altro”, afferma Daniele Nannetti, gestore degli hotel Miravalle e San Miniato nonché socio del nascente resort all’interno della Villa di Petriolo, tra Fucecchio e Cerreto Guidi, la cui inaugurazione è stata posticipata al 2021. “Per quanto ci riguarda riapriremo – dice Nannetti -. In questi giorni stiamo anche investendo per acquistare macchinari necessari alla sanificazione secondo le linee guida del Governo. Ma quanti di noi potranno fare altrettanto? Francamente mi aspetto che il 50% delle strutture non riapra più, ma ancora in Italia non si è compresa la dimensione di quello che accadrà: non appena finirà il divieto ai licenziamenti avremo in un colpo solo 6 milioni di disoccupati”.

Affitti e nuove spese da sostenere

“Il grande problema – riprende Nannetti – è che il 90% delle strutture ricettive in Italia è in affitto. E le cifre degli affitti sono enormi perché il giro d’affari era enorme, soprattutto se pensiamo a Firenze o a certe località di mare. Da questo punto di vista, le piccole strutture che hanno immobili di proprietà appaiono avvantaggiate a livello finanziario, ma a loro volta queste aziende sono quelle più in difficoltà a rispettare i nuovi standard di sicurezza e sanificazione. Dall’altro le grandi strutture hanno costi fissi più alti, ma sono quelle più attrezzate per rispettare le regole”.

Un’intera annata da buttare

“Ma che costi avrà il rispetto delle normative? E chi ci certifica che quello che faremo andrà bene?” si domanda Stefano Barghini, titolare di due case vacanze nelle campagne di Orentano, solitamente occupate da turisti stranieri da marzo fino a ottobre. “La normativa purtroppo non ci consente di interrompere gli affitti” sottolinea l’imprenditore, che ogni anno compensa con i ricavi della bella stagione anche l’affitto pagato in inverno quando gli immobili restano vuoti. “Il virus è arrivato nel momento peggiore, proprio all’inizio della stagione. Per quanto ci riguarda abbiamo stimato per quest’anno un danno economico di 200mila euro” aggiunge Barghini, al quale ormai restano solo un pugno di settimane prenotate a luglio e agosto. “A questo punto mi aspetto di saltare completamente la stagione – spiega – nella speranza di poter ripartire l’anno prossimo, anche grazie alla comprensione dei nostri ospiti che hanno accettato i voucher per venire da noi nel 2021 o 2022. Se non altro la nostra tipologia di accoglienza, formata da due strutture autonome e senza spazi condivisi, è forse quella che potrà ripartire più facilmente nonostante il virus”.

Lavorare per due camere a notte

Del resto, anche il questionario che Federalberghi ha iniziato a sottoporre da ieri (24 aprile) ai propri associati dimostra che alcune strutture stanno pensando di non riaprire per tutto il 2020. “Se siamo fortunati contiamo di rivedere qualcosa a settembre, altrimenti di turismo se ne riparla a dicembre” dice Andrea Romanelli, presidente di Federalberghi Pisa e gestore dell’Hotel La Pace, nella città della Torre, uno dei pochissimi rimasti aperti per rispettare un contratto con Ferrovie Italiane che prevede di riservare 2 camere ai macchinisti: “Mi sono trasferito in struttura e ho messo in cassa integrazione i miei 15 dipendenti – racconta –. Attualmente incassiamo 80 euro al giorno, ma a marzo ne ho pagati 2.300 solo di metano. Credo di non essere smentito se dico che il nostro è il settore più colpito, quello che avrà la ripresa più lenta di tutti”.

Se il distanziamento ‘uccide’ i bilanci

Ad impedire la ripartenza, infatti, oltre ai limiti di spostamento dei clienti, potrebbero essere proprio le nuove regole di prevenzione contro il contagio, a cominciare dal distanziamento sociale. “Prendiamo ad esempio un albergo che ha una sala ristorante da 50 coperti – spiega Romanelli – ma in base alle nuove regole non potrà ospitarne più di 12 o 15 al massimo. Le possibilità sono due: o fa pagare 25 euro per un piatto di pasta oppure mette a casa il personale. In questo modo, inoltre, tutti quei piccoli alberghi e bed & breakfast che servono la colazione in una piccola stanza saranno costretti e non offrirla più, rinunciando in questo modo a ciò che li differenzia dai vari Airbnb e affittacamere. Alla fine rischiamo anche di perdere quel concetto di ospitalità che ci ha resi famosi nel mondo”.

L’emergenza sanitaria, inoltre, ha fatto saltare ogni possibile strategie attrattiva da parte del settore. “Gli alberghi funzionano un po’ come le compagnie aeree – continua Romanelli -: i prezzi sono bassi finché le camere sono tutte vuote e poi si alzano a mano a mano che si riducono i posti. In questo momento in teoria dovremmo offrire dei prezzi molto bassi, ma per cercare di recuperare le perdite siamo costretti ad alzarli, col risultato che l’Italia, già mediamente cara per via del cuneo fiscale, finirà per essere ancora meno competitiva sul mercato internazionale. In questa situazione sono sinceramente preoccupato per i dipendenti. Molti posti di lavoro sono a rischio, per non parlare degli stagionali dove ci aspettiamo un taglio di almeno il 70%”.

Come cambiano le scelte dei clienti

In tutto questo ci saranno poi delle strutture più penalizzate di altre, in base a come il virus cambierà le abitudini di chi viaggia. “Abbiamo fatto un sondaggio – racconta ancora il presidente di Federalberghi Pisa – per capire se i clienti preferiranno andare negli alberghi, dove la pulizia è garantita ma ci sono spazi di promiscuità, oppure sceglieranno appartamenti indipendenti anche a costo di doverseli pulire. In base al sondaggio, chi sceglierà ancora l’albergo si rivolgerà unicamente alla fascia alta, mentre tutti gli altri preferiranno andare in appartamento”. E a risollevare gli alberghi non sarà neppure il settore business: “Perché le aziende hanno capito che tante cose possono farle a distanza – dice Romanelli – senza bisogno di venire in albergo per meeting e corsi di formazione. Quindi non credo che torneremo ai numeri di un tempo”.

Liquidità e promozione sono dunque le due parole chiave per provare a ripartire. “Un mio collega ha un ristorante nel Regno Unito – aggiunge Romanelli -: appena è scattato il lockdown ha ricevuto 3mila sterline vincolate al pagamento dell’affitto. Anche in Italia lo Stato deve darci liquidità, almeno per consentirci di adeguare le strutture alle nuove regole. Poi serve a livello nazionale un investimento in promozione a 5 zeri: dobbiamo dare un messaggio rassicurante, perché anche se le prenotazioni non ci sono i dati della rete ci dicono che gli utenti continuano a cercarci. A livello locale, invece, è inutile posticipare la Tari o sospendere la tassa di soggiorno. Seguiamo almeno quello che sta facendo il Comune di Lucca: parcheggi gratis, fondo per gli affitti ed eliminazione di Tari e Tosap”.