Richiedenti asilo, cosa accade a chi non ottiene lo status

9 giugno 2017 | 13:56
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Richiedenti asilo, cosa accade a chi non ottiene lo status

Solo il 47% delle richieste di asilo da parte di profughi in Unione Valdera sono state accettate dalle commissioni provinciali nel 2016, tra i 181 stranieri accolti con i vari progetti messi in campo dai vari enti che si occupano dell’accoglienza. Un dato emerso fra gli altri al convegno organizzato dalla Rete dell’Economia Solidale della Valdera in collaborazione con l’Unione ed altre associazioni alcuni giorni fa, con tema principale le “Strategie locali per l’accoglienza”.

Percentuale che ha un dato complementare: ben il 53% si sono visti diniegare la richiesta, in linea con i dati nazionali. “Quasi tutti fanno ricorso in questi casi – spiega il presidente uscente dell’Unione Corrado Guidi, responsabile del settore sociale ed immigrazione. – Nel caso in cui anche quello venga respinto c’è il foglio di via ed in quel caso purtroppo diversi si danno alla clandestinità. Avere un foglio di via in tasca senza lasciare il paese significa inevitabilmente esporsi: chi delinque incappa subito nelle maglie della giustizia, chi non delinque può sperare di vivacchiare, ma è una vita sotto traccia”. Situazione non certo facile né oggettivamente funzionale, se si pensa che la stessa procedura del foglio di via (formalmente un ordine di allontanamento dal territorio dello Stato) è a dir poco farraginosa. L’individuo verso cui è stato emesso l’ordine che non abbia ottemperato, rimanendo sul territorio nazionale, non necessariamente può incorrere nell’espulsione coatta (accompagnato al confine e simili) in caso venga fermato e riconosciuto dalle forze dell’ordine. Per l’espulsione, infatti, è necessario anche in quel caso che si manifestino simultaneamente varie condizioni, fra cui l’identificazione certa e la possibilità di espellere la persona previo passaggio in un centro di identificazione ed espulsione o centro di permanenza temporanea. Strutture quasi sempre sature. Una situazione che in molti casi, quando non vi sono motivazioni valide al considerare il soggetto pericoloso, finisce per portare la procedura al punto di partenza: nuovo invito a lasciare il paese tramite foglio di via. Esito, quest’ultimo, ovviabile solo in particolari casi in cui esistano accordi bilaterali con la nazione di provenienza. Situazione che nel complesso finisce per agevolare indirettamente la presenza sul territorio nazionale di soggetti intrappolati nella difficile condizione di chi non può né lavorare né trovare un rifugio che non sia con conoscenti o parenti.

Raccontare la propria storia, fra accoglienza e status di rifugiato

Un percorso lungo e per molti versi complicato quello della richiesta di asilo. Che in Valdera come in tutti luoghi passa inevitabilmente dal sistema dell’accoglienza. Il processo che porta un migrante dal fare richiesta di asilo all’ottenere lo status di rifugiato dura almeno 18 mesi, che quasi sempre diventano due anni. E’ in questo periodo particolare che le commissioni, una volta pochissime sul territorio regionale, oggi presenti con il loro lavoro d’indagine in quasi tutte le province, devono vagliare se esistono, per ogni richiedente, effettive motivazioni per riconoscergli lo status. Motivi familiari, culturali, religiosi. L’essere un perseguitato politico nel proprio paese d’origine, o rischiare la vita per le proprie inclinazioni personali, religiose, sessuali, sono fra le motivazioni che passano al vaglio di queste commissioni. “Non sempre facili da provare” racconta un’operatore del sistema accoglienza. “Spesso chi arriva qui lo fa con pochi documenti, se li ha. Il lavoro delle associazioni che si occupano di accoglienza è quello di aiutare queste persone a provare ciò che sostengono. Chi fa domanda di asilo deve raccontare la sua esperienza, spesso dolorosa, cercando di provare ciò che dice”.

Migranti, profughi, rifugiati, richiedenti asilo: attenti alle parole

E’ innanzitutto doveroso fare qui un po’ di chiarezza: le categorie contano, come le parole. Se “migrante” o “profugo” è chiunque decida di lasciare il proprio Paese d’origine per cercare un lavoro e condizioni di vita migliori, lo status di “rifugiato” è una cosa ben precisa, sancita dal diritto internazionale e dalla Convenzione di Ginevra del 1951. Uno status che proprio attraverso un percorso “probatorio” viene riconosciuto a quelle persone che non possono tornare a casa perché per loro sarebbe troppo pericoloso e hanno quindi bisogno di trovare protezione altrove. Il “richiedente asilo” è colui o colei che intraprende questo percorso per ottenere il riconoscimento dello status.

Uno status che si può ottenere, perdere, o non avere mai

“Dire che in Valdera il 53% dei richiedenti è stato diniegato non significa dire che per tutti loro scatta il foglio di via” spiegano gli operatori dell’accoglienza. Entro 30 giorni, infatti, è possibile appellarsi e ricorrere al tribunale ordinario e alla legge che regola questi casi (n. 142). “Molti di loro, se non tutti, faranno ricorso” spiegano. “La percentuale di coloro che di fronte al tribunale (in questo caso Firenze) si vedranno nuovamente negato lo status di rifugiato saranno molti meno. Questo perché la persona che ricorre quasi sempre non è la “stessa” che si era rivolta alla commissione la prima volta. E’ una persona che nel frattempo ha imparato la lingua, in genere ha una sua “rete” di sicurezza creata all’interno del sistema di accoglienza e attraversa questa volta un percorso giuridico “canonico” di fronte ad un tribunale, con la consulenza fondamentale di un avvocato. Questo percorso in genere può durare altri due anni. C’è poi la possibilità di approdare al terzo grado di giudizio, la Corte d’appello. Periodo durante il quale il soggetto è ancora un richiedente asilo con un permesso temporaneo”. Proprio questi ultimi due passaggi sono attualmente messi in discussione dal nuovo decreto Minniti-Orlando, passato alle camere nelle settimane scorse. La nuova legge infatti elimina il terzo grado di giudizio della Corte d’appello e semplifica la procedura di “secondo grado”, il ricorso al tribunale: il giudice deciderà senza parlare con il richiedente, ma limitandosi a guardare una videoregistrazione dell’udienza nella commissione.

Per tutti gli altri, il foglio di via: l’esempio della Valdera nel 2016

Secondo il presidente della commissione Nazionale asilo, circa il 60% delle richieste di appello viene accolto. Se volessimo restare ancorati al numero dei richiedenti del 2016 in Valdera per fare una stima, in pratica, su 181 persone che hanno fatto la richiesta circa 85 hanno probabilmente ottenuto lo status di rifugiato subito, seguiti dopo il ricorso da altri 57. Circa 39, invece, potrebbero avviarsi verso il foglio di via a meno che le loro condizioni non siano cambiate. Ed è qui che i procedimenti, oltre a farsi labili, rischiano di nascondere una sostanziale resa dello Stato. Il foglio di via infatti non è il rimpatrio, ma un atto emesso a discrezionalità della Questura che impone in questo caso al migrante, la cui eventuale pericolosità va comunque sempre motivata, di ritornare al suo paese entro 15 giorni. Non tutti lo fanno. Ed è qui che le strade si separano, lasciando alle maglie della giustizia e alle forze dell’ordine il compito di identificare queste persone, che esse delinquano (ed in quel caso si apre il percorso penale prima) o siano identificate per caso durante un normale controllo.

Nilo Di Modica