Associazione a delinquere per frodare il Fisco, perquisizioni in uno studio di Pontedera

8 febbraio 2017 | 13:04
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Associazione a delinquere per frodare il Fisco, perquisizioni in uno studio di Pontedera

Un giro di false fatturazioni che potevano contare, secondo le indagini della Guardia di Finanza di Livorno, sui servizi di un commercialista con uno studio a Pontedera. Gli uomini delle Fiamme gialle, con il coordinamento del comando regionale Toscana e di funzionari dell’Agenzia delle Dogane labronica, hanno eseguito l’ordinanza di applicazione degli arresti domiciliari nei confronti di due imprenditori livornesi e di obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria nei confronti di altre due persone (sempre residenti a Livorno), per associazione a delinquere finalizzata alla commissione di una complessa frode fiscale. Eseguite anche 15 perquisizioni tra abitazioni, sedi societarie e lo studio commercialistico tra Toscana, Trentino Alto Adige, Campania ed Emilia Romagna. Disposto, inoltre, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente per oltre 4 milioni di euro su conti correnti, denaro, autovetture e immobili nella disponibilità di 6 imprese (2 ditte individuali e 4 società) e di 7 degli 8 indagati, a vario titolo coinvolti nel sodalizio criminale e denunciati, a vario titolo, per reati tributari.

Nel corso delle indagini è emerso il rilevante apporto, per la realizzazione del meccanismo fraudolento, del commercialista “di fiducia” dell’imprenditore, titolare di uno studio commercialista a Pontedera. Contributo fondamentale, il suo, per ostacolare le attività di controllo: tenutario delle scritture contabili di tutte le imprese coinvolte e incaricato della registrazione delle fatture, il commercialista aveva fatto in modo di fissare presso il proprio studio la sede legale delle società e aveva presentato, per le stesse, dichiarazioni fiscali con importo pari a zero. In questo modo, le imprese non risultavano formalmente evasori totali sebbene non dichiarassero all’erario né redditi né volume d’affari. Denunciato, a titolo di concorso, per i reati tributari ascritti agli altri indagati, è stato oggetto di una perquisizione domiciliare allo studio commerciale, dove è stata sottoposta a sequestro tutta la documentazione relativa al ritenuto meccanismo fraudolento.
Gli illeciti ipotizzati a carico delle 8 persone fisiche denunciate – tra cui il titolare di uno studio commercialista, non raggiunto da provvedimenti cautelari – vanno dall’emissione e utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, all’infedele ed omessa presentazione delle dichiarazioni, fino all’occultamento di documentazione contabile. Nei confronti di 7 soggetti è stata, altresì, contestata l’associazione per delinquere.
Le indagini, in particolare, hanno preso avvio da un controllo fiscale eseguito nei confronti di una ditta individuale operante a Livorno nel settore della vendita di prodotti informatici e hanno fatto emergere l’esistenza di un’organizzazione finalizzata a evadere l’erario.
Obbligo di presentarsi alla polizia giudiziaria, invece, a carico dei due formali rappresentanti legali delle società di comodo rei, per i Finanzieri, di aver sistematicamente emesso fatture per operazioni inesistenti a 3 imprese delle province di Bolzano e Avellino.
Le attività svolte dagli inquirenti hanno consentito di individuare, all’interno della menzionata associazione, 9 persone giuridiche (2 ditte individuali e 7 società), con un giro di fatture false, tra emesse ed utilizzate, pari a circa 60 milioni di euro.
Le investigazioni, iniziate nel 2015, hanno permesso di ascrivere l’ipotesi fraudolenta al sistema del “carosello fiscale”, attuato tramite triangolazioni fra le società coinvolte allo scopo di evadere l’Iva, nel settore del commercio dei prodotti elettronici (telecamere, macchine fotografiche, cellulari, computer, navigatori satellitari) destinati alla grande distribuzione nonché al commercio al dettaglio via web. Gli imprenditori, infatti, hanno appositamente costituito ditte individuali e società con sedi formali tra le province di Livorno, Pisa e Bologna, ma di fatto tutte gestite a Livorno.
Le imprese, secondo le risultanze di indagine, prive di struttura imprenditoriale, acquistavano ingenti quantità di prodotti hi-tech direttamente dai fornitori comunitari (francesi e tedeschi). In realtà la merce non veniva consegnata alle ditte che avevano effettuato l’ordine, ma direttamente agli effettivi destinatari, beneficiari della frode. Le cartiere quindi, venivano interposte, facendo da filtro, nelle transazioni commerciali tra i fornitori europei e le società operative campana e altoatesina, effettuando gli acquisti comunitari di beni, che poi rivendevano sul territorio nazionale solo formalmente, perché la merce era già stata recapitata ai destinatari, accollandosi, conseguentemente un debito Iva, che poi non versavano all’erario.