A night in Tunisia, l’inedito legame fra jazz e islam al teatro Lux di Pisa

5 aprile 2016 | 09:34
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A night in Tunisia, l’inedito legame fra jazz e islam al teatro Lux di Pisa

“A night in Tunisia”, si chiama così la conferenza attesa al Cinema Teatro Lux di Pisa il prossimo 7 aprile alle 19, tutta dedicata ad un inedito rapporto, un “collegamento nascosto” fra musica jazz e mondo islamico. Una chiacchierata a ingresso libero con l’esperto e studioso Francesco Martinelli.

Convenzionalmente le storie del jazz fanno riferimento a un’influenza africana nella nascita del jazz, spesso legandola soprattutto all’elemento ritmico. Nei miti europei della creazione, l’Universo è creato dalla parola; nei miti africani, dalla vibrazione del tamburo primigenio. D’altra parte ha poco senso parlare di “musica africana” dato che il continente africano contiene tradizioni molto diverse e non necessariamente percussive. Quando la tratta degli schiavi venne avviata dalle grandi potenze europee per fornire mano d’opera a costo zero per i nuovi territori conquistati nel Nuovo Continente un’ampia area del continente africano aveva già visto la penetrazione dell’Islam. Da Egitto e Sudan attraverso Marocco e Tunisia, lungo la costa e attraverso il Sahara, tribù e nazioni vennero convertite, con la fondazione di dinastie mussulmane: i Mori che dominarono la penisola iberica per cinquecento anni erano africani e mussulmani, e la loro musica veniva suonata da maestri di strumento provenienti dalla corte di Baghdad. All’inizio del sedicesimo secolo la penetrazione dell’Islam in Africa era iniziata da circa mille anni. Delle circa 400.000 persone che vennero ridotte in schiavitù e deportate nei territori che ora costituiscono gli Stati Uniti d’America, almeno un terzo secondo le stime correnti proveniva da zone dell’Africa dell’Ovest in cui i mussulmani erano la maggioranza o una componente significativa della popolazione, chiamate allora Senegambia. La prima rivolta di schiavi di cui si ha notizia ebbe luogo nel 1522 a Hispaniola e fu organizzata da africani jelofes, la parola usata in spagnolo per i wolof, un gruppo etnico totalmente islamizzato. A seguito di questo evento Re Carlo di Spagna con un editto del 1526 proibì nei suoi domini l’importazione di “gelofes, di schiavi provenienti dall’Oriente, e e di tutti quelli che sono stati educati dai Mori”. Ancora nel 1835 una delle più grandi rivolte, quella di Salvador de Bahia, sarebbe stata chiamata la “rivoluzione dei Maliani”, a guida mussulmana.  Questi schiavi il cui commercio era vietato nei domini spagnoli vennero venduti in quelli inglesi: Georgia e le Caroline, fino alla abolizione dello schiavismo. Dove continuò più a lungo, come a Cuba, gli schiavi provenivano in maggioranza dal Congo. Questa differenza spiega le grandi differenze tra la versione USA della musica afroamericana e il mondo della musica “latina” dominata da quella cubana. Il cantante cubano non ha nessuna delle caratteristiche della vocalità del blues, mentre la parte ritmica è più complessa, lussureggiante e inventiva, basata sul concetto di clave. Malgrado l’importanza delle resistenze africane nella zona delle Carolinas e della Georgia gli storici del jazz hanno poco investigato questi collegamenti.Una serie di registrazioni mettono in evidenza le somiglianze e poi i più aperti tentativi di ricollegarsi all’Islam e alla sua musica da parte dei musicisti di jazz, specialmente dopo la II Guerra Mondiale. 

Francesco Martinelli è impegnato fino dagli anni Settanta nella diffusione della cultura jazzistica in Italia come organizzatore di concerti, giornalista, saggista e traduttore, insegnante e conferenziere. Ha collaborato negli anni Settanta alla organizzazione delle memorabili Rassegne Internazionali del Jazz di Pisa, e in seguito ha promosso nella sua città concerti e rassegne tra cui La Nuova Onda, l’Instabile’s Festival, An Insolent Noise. Come giornalista ha collaborato a musiche, Musica Jazz e Il Giornale della Musica; attualmente scrive di musiche tradizionali per la rivista inglese Songlines. Ha pubblicato le discografie di Anthony Braxton, Evan Parker, Joelle Léandre e Mario Schiano. Ha tradotto una decina di libri dall’inglese all’italiano, collaborando con Arcana, Il Saggiatore, EDT e con la pisana ETS per la collana Sonografie la cui più recente uscita è un volume su Albert Ayler. Insegna Storia del Jazz presso l’Istituto Musicale Mascagni di Livorno e la Siena Jazz University; a Siena Jazz dirige anche il Centro Studi sul Jazz “Arrigo Polillo”, la più ampia raccolta di libri, riviste e registrazioni di jazz in Italia. La collana di testi jazzistici creata in collaborazione da EDT e Siena Jazz è da lui diretta. Ha insegnato per diversi anni a Istanbul alla Bilgi University e collabora tuttora con la Fondazione per la Cultura di Smirne per l’organizzazione del Festival del Jazz Europeo e la gestione del museo degli strumenti musicali tradizionali dell’Anatolia. E’ attualmente impegnato a coordinare un vasto progetto internazionale promosso dall’European Jazz Network per la redazione di una storia collettiva del Jazz in Europa.