Da Pontedera a Gaza per aiutare, racconto di un volontario



Noto in provincia per i suoi trascorsi nei movimenti studenteschi e per le esperienze di volontario nel settore sanitario (ma anche logistico, in occasioni particolari come il terremoto a L’Aquila), Spinelli è alla sua seconda esperienza di volontariato internazionale in Medio Oriente, dove si è occupato sempre di logistica per l’European Gaza Hospital per conto dell’organizzazione non governativa Palestine Children’s Relief Found. “In Palestina, specie a Gaza, c’è bisogno di supportare e far progredire il sistema sanitario. E i progetti avviati che procedono bene come quello della cardiochirurgia pediatrica vanno supportati e portati avanti al massimo – racconta -. Noi ci occupiamo di assistenza medica specialistica e non grosso modo pediatrica chirurgica, ma in realtà abbiamo ampi progetti, qui siamo in un nostro ospedale partner, dove facciamo principalmente questo. Ma anche sviluppo infrastrutturale”. Tutto questo in una situazione successiva all’ultima offensiva iniziata nel luglio 2014, con l’operazione Margine di protezione, quando Gaza e la Striscia sono state oggetto di numerosi interventi bellici, uniti all’embargo insistente ormai da anni. “Dipende dove vai ovviamente – spiega Spinelli –. In certe aree niente di diverso dalla consueta normalità palestinese. A Gerusalemme invece clima è pesantissimo: nuovi check point, locali vuoti, strade deserte la sera in molti quartieri e molto esercito in giro. Anche la missione con la quale siamo partiti adesso doveva essere operativa e molto più grande, ma per vari motivi è saltata e siamo rimasti solo noi logisti: io, il cardiochirurgo pediatrico Stefano Vincenzo Luisi, la projects manager Martina Luisi e Dario Fichera, perfusionista. Ci sono tempi lunghissimi per ottenere i visti. Ci riesce solo chi ha un radicamento con uffici locali dell’ong a fare da intermediari. I controlli sono rigidi e spesso vessanti e le importazioni di materiali sanitari sono complicatissime e richiedono a volte anni di tempo. Siamo costretti a portare a mano la maggior parte del necessario. In più ci sono le difficili condizioni della vita a Gaza: al momento l’elettricità c’è per 8 ore al giorno e il tempo restante l’ospedale funziona su generatori”. Eppure c’è chi parte, perché? “A mio modo di vedere la Palestina è un posto a cui il futuro è negato. E’ un esperienza che in genere si sceglie, ma può capitare anche di ritrovarcisi – scherza -. Nel mio caso vengo da una storia di volontariato in Italia dove ho maturato alcune passioni e competenze. Il motivo per il quale ho scelto questa missione è che qui c’è chi ha più bisogno. A Gaza possiamo contribuire a far progredire un sistema sanitario andando a curare i bambini, ma soprattutto insegnando loro a farlo da soli”. Non tutti però hanno competenze specialistiche o spendibili in certi contesti. Cosa possano fare tutti coloro che si sentano vicini alla popolazione palestinese? “L’aiuto più immediato è la donazione – continua – ma anche informarsi e contribuire a diffondere le informazioni è vitale. Abbiamo una pagina facebook dal nome Soccorso medico per bambini palestinesi e il nostro sito. Lavoriamo a stretto contatto con la Regione Toscana. La nostra è una regione che storicamente è da sempre vicina a queste popolazioni”.