Il tempio dello yoga avrà la firma di tre samminiatesi. “Ecco come è andata”






Originari di Lucca e di San Miniato gli autori del progetto arrivato primo al concorso
Da un’amicizia nata sui banchi dell’università al successo in ambito internazionale il passo è breve. Almeno per quattro giovani talenti dell’architettura e del design provenienti da Lucca e San Miniato. Infatti, Uberto Carignani (l’unico lucchese), Vittorio Falaschi, Emmanuele Bortone e Maddalena Nanni si sono aggiudicati il prestigioso concorso internazionale Yoga house on a cliff, organizzato dal consorzio Bee Breeders e da Archive Books. Il team ha battuto un’agguerrita concorrenza che ha visto giungere al secondo posto un’equipe coreana e al terzo una inglese.
Un successo inatteso e che sta avendo grande risalto sia in Italia che all’estero. Una bella soddisfazione che ripaga questi giovani professionisti dei tanti sacrifici fatti in questi mesi. Tutti e quattro infatti sono neo laureati ma già inseriti nel contesto lavorativo. Si sono quindi ritrovati a cimentarsi in questo importante progetto in orari “improbabili” e senza la possibilità incontrarsi di persona.
A raccontare com’è nata vittoria sono proprio i quattro ragazzi.
Come vi siete incontrati e perché avete deciso di partecipare a questo concorso?
Uberto: “Ci siamo conosciuti all’università. Tutti e quattro infatti abbiamo frequentato il corso di laurea triennale in architettura a Firenze. Da lì è nata una bella amicizia ed anche se poi ognuno di noi ha proseguito su strade diverse siamo rimasti in contatto. L’idea di partecipare a questo concorso è arrivata un po’ per caso. Tutti noi eravamo impegnati in altro ma, complici anche le zone rosse, abbiamo pensato che questo periodo di chiusura forzata potesse essere anche un’opportunità per cimentarci in un’impresa del genere. Tra ottobre e novembre dello scorso anno ci siamo quindi lanciati anima e corpo in questa avventura”.
In cosa consiste il vostro progetto?
Emmanuele: “Il concorso chiedeva di proporre un progetto per la riqualificazione di uno dei più importanti centri per lo yoga in Europa, che si trova all’interno di una foresta in Portogallo. Ci siamo concentrati nel fare una proposta semplice e funzionale e che si integrasse al meglio con la natura circostante. Anche per questo abbiamo scelto dei materiali naturali come il legno e abbiamo attinto anche dalla materia prima tipica locale, come ad esempio il sughero”.
Avete concluso gli studi da poco e già siete sulla cresta dell’onda. Ve lo aspettavate?
Vittorio: “Sinceramente no. È vero che si tratta di un concorso di livello internazionale ma non ci aspettavamo un riscontro così importante. La nostra vittoria è stata rilanciata da molte importanti testate specialistiche, sia italiane che straniere. È stata una bella soddisfazione. Un ulteriore riconoscimento del lavoro fatto. Nonostante questo rimaniamo con i piedi per terra: sappiamo che la strada da percorrere è ancora molto lunga. Però possiamo dire di essere partiti con il piede giusto”.
I quattro ragazzi sono stati costretti a lavorare sempre a distanza. Anche perché Maddalena e Vittorio hanno contratto il Covid.
Com’è stato lavorare in queste condizioni?
Maddalena: “Per me è stato liberatorio. Sono stata in isolamento per 46 giorni. Lavorare a questo progetto è stato un modo per distrarmi dalle preoccupazioni. Anche se non ci siamo mai incontrati di persona è stato davvero piacevole confrontarmi con Uberto, Vittorio ed Emmanuele. Abbiamo condiviso ogni passaggio, dalla progettazione alla presentazione finale. Abbiamo discusso a fondo e condiviso ogni aspetto. È stato un bel lavoro di squadra”.
L’emergenza coronavirus ha stravolto le vite di tutti. Ma è stato anche un modo per riscoprire e apprezzare le piccole cose. A partire dal legame con il territorio. È stato così anche per voi?
Vittorio: “Dopo aver vissuto per due anni a Torino (dove si è specializzato al Politecnico in progettazione sostenibile, ndr) personalmente ho riscoperto il piacere della piccola realtà di provincia. In qualsiasi grande città i ritmi sono diversi: basti solo pensare ai tempi dilatati per gli spostamenti. Ma anche i rapporti con le persone cambiano. Tornando in Toscana ho riscoperto il piacere di vivere in una realtà più contenuta.
Uberto: “Concordo, ne abbiamo parlato spesso tra di noi. Anche io avrei voluto partire per fare un’esperienza fuori. Ma la pandemia mi ha fatto rivalutare molte cose. Se mi fossi trovato a vivere il lockdown in un appartamento di una grande città sicuramente avrei avuto disagi maggiori. Questo mi ha portato a rivalutare e ad apprezzare ancora di più una realtà vivibile come quella di Lucca”.
Emmanuele è convinto: “Penso che tutti noi condividiamo il desiderio e la speranza di fare prima o poi un’esperienza all’estero. Io personalmente sarei dovuto partite per Siviglia per un tirocinio post-laurea. Poi è saltato tutto a causa del Covid. Questa voglia di andar fuori a imparare sicuramente c’è ancora, però siamo tutti anche molto legati al territorio da cui veniamo e la speranza è poi in futuro di poterci stabilire e lavorare qui. Anche perché anche i nostri luoghi necessitano di interventi che spesso sono molto complessi perché si rischia di danneggiare il patrimonio storico. Fare questo tipo di interventi richiede anche grande sensibilità che forse chi viene da realtà diverse dalla nostra non possiede”.
Voi che avete appena terminato il percorso accademico, guardando al futuro siete più ottimisti o più preoccupati?
Emmanuele: “Io credo che da questo periodo difficile dobbiamo cercare di tirare fuori il meglio che possiamo. C’è stato più spazio anche per la riflessione personale se vuoi, e per concentrarci su progetti che altrimenti non avremmo affrontato. Tra l’altro questa esperienza ci porterà a ripensare anche il nostro lavoro. Dopo un periodo come questo penso che tutti abbiano rivalutato l’importanza di ambienti domestici più vivibili ma anche di recuperare un certo rapporto con la natura e di conseguenza anche adottare stili di vita più sostenibili. Questo vale sia per l’architettura che in generale”.
Uberto: “Sono d’accordo e credo anche che l’emergenza ci abbia aiutato a cimentarci in imprese che magari non consideravamo alla nostra portata. Magari in una situazione diversa non avremmo nemmeno partecipato a questo concorso. Anche solo per il semplice fatto di doverci spostare per incontrarci di persona e lavorare a questo progetto in orari improbabili. Di sicuro quindi abbiamo scoperto delle cose su noi stessi ma anche sul nostro lavoro che non conoscevamo e che invece dobbiamo valorizzare”.
Maddalena: “Oggi sembra assurdo pensare di fare una riunione con tante persone all’interno della stessa stanza. Eppure fino a pochi mesi fa era così, nonostante avessimo già tutti gli strumenti per lavorare anche a distanza. Credo che ciò che abbiamo imparato in questi mesi non debba andare perso. La tecnologia ci può aiutare a vivere meglio. A lavorare anche in contesti distanti da noi ma comunque rimanendo vicino alle nostre famiglie. Questi aspetti sono molto importanti e non vanno persi. Anche perché, come diceva Emmanuele, influenzeranno anche il nostro modo di vivere e di progettare”.
Squadra che vince non si cambia?
“Ovviamente no. Noi lavoriamo tutti in studi professionali diversi. Però ci troviamo molto bene a lavorare insieme. Per cui se in futuro ci saranno delle altre opportunità sicuramente ci lanceremo in nuove sfide. Noi siamo pronti”.