La bellezza oltre il lockdown: inaugurata la restaurata scalinata del Santissimo
San Miniato recupera uno dei suoi luoghi simbolo, del quale adesso tutti dovranno avere cura
“Una delle cose che ci ha insegnato il lockdown, è proprio il valore di momenti come questo, il recupero di un’opera preziosa. È giusto anche nei momenti di difficoltà essere presenti e continuare a intervenire”. Lo ha ricordato il responsabile della direzione regionale Toscana di Crédit Agricole Italia Massimo Cerbai all’inaugurazione dei lavori di restauro della scala del Santissimo Crocifisso a San Miniato, oggi 17 luglio.
Un’inaugurazione a lungo programmata quella di oggi, poi rimandata proprio a causa dell’emergenza coronavirus(qui) e per questo, ancora più bella. Un simbolo di rinascita che non è solo della Scala e prossimamente del Santuario, ma di una città e della sua arte, pronte a scrivere una nuova storia. Un restauro a cura della diocesi di San Miniato e finanziato per 90mila euro dalla Fondazione Cassa di risparmio San miniato e da Crédit Agricole, ma che ha superato di poco di 100mila con i fondi propri della diocesi.
“L’arte e la cultura per il presidente della Fondazione Cassa di risparmio di San Miniato Antonio Guicciardini Salini – sono il motore dell’economia. Muovono il lavoro. Con questa opera hanno lavorato professionisti, carpentieri, idraulici e altri ancora. Bisogna intervenire sui restauri perché oltre a essere importanti in sé movimentano l’economia nazionale: direttamente con il lavoro, sia per i riflessi sul turismo”.
Fondazione e Banca sono i finanziatori principali del restauro, frutto di un notevole sforzo della Diocesi di San Miniato. “La scala – ha detto orgoglioso il vescovo Andrea Migliavacca – torna a vivere ed essere parte della comunità. Per un territorio più vasto di San Miniato, questo è un patrimonio importante, nei biglietti da visita di questa città. Nei progetti di recupero dei vari luoghi di San Miniato della vita della chiesa questo luogo aveva la priorità”. Anche perché fa da sfondo alle serate, alle risate e alle disperazioni di quelle generazioni di ragazzi cresciuti “sul muretto”. Lo sfondo fisico di oggi, invece, erano le impalcature per il rifacimento della chiesa del Santissimo Crocifisso, anche quella oggetto di lavori che dureranno ancora un po’.
Compreso il sindaco Simone Giglioli, che forse anche per questo, ora intende garantire il decoro di quel luogo, anche con le telecamere (qui). “Ringrazio la Curia – ha detto – per l’invito e per la bellissima opera e grazie ai finanziatori. Questo è effettivamente un patrimonio di tutti i sanminiatesi: posto tra piazza Duomo e il municipio, è uno dei luoghi più belli del centro storico, meta di tante persone e tanti sposi. Ho avuto modo di vedere i lavori durante tutte le stagioni da vicino e sotto il sole non è stato semplice. Se tutti contribuiamo alla cura della città indipendentemente da chi ne è proprietario, la nostra città ne trarrà un beneficio in termini di attrattività”.
Oltre alla meraviglia che si vede, il lavoro ha compreso il rifacimento delle fognature che passano sotto alla scalinata. Lavori insidiosi e soprattutto invisibili, ma non per questo secondari. Anzi, proprio l’acqua che scorreva al di sotto della scalinata aveva contribuito al tuo “invecchiamento”. Con un “investimento lungimirante sulle fognature e sulle cose che non si vedono – ha detto Mariagrazia Tempieri della soprintendenza di Pisa – la scalinata si assicura un ottimo stato di conservazione per lungo tempo”.
“Avevamo infiltrazioni che uscivano quasi a fontana dalle pareti – ha detto l’architetto Silvia Lensi che ha seguito i lavori – perché nel tempo i canali e i condotti avevano subito dei danni e andavano a perdere nel terreno. Aveva cambiato il colore delle pietre e costituiva un problema strutturale”. Da un punto di vista storico-architettonico “la chiesa del Crocifisso – ha continuato Lensi – era nata per custodire una scultura lignea. Poi nel 1400 iniziarono i grandi pellegrinaggi e serviva più spazio. Nel 1704 uno degli architetti poi importanti della corte medicea Antonio Maria Ferri fece due proposte di soluzione una a pianta rotonda una a croce greca come poi è stato eseguito. Questo era un ciglione di proprietà della famiglia Donati. L’architetto pensò di comprare il terreno per realizzare questa quinta per la chiesa allargata. Più tardi furono collocate le statue e le ringhiere in ferro”.
Una storia in due fasi, dunque: la prima settecentesca con la realizzazione della scalinata e la seconda durante tutto l’Ottocento che ha visto l’installazione delle statue e degli arredi.
Un lavoro lungo, difficile, che ha visto ottimi risultati grazie al lavoro di Massimo Moretti, il restauratore lapideo che insieme ad alcuni colleghi si è occupato del restauro vero e proprio. “Il lavoro – ha detto Moretti – è durato tanto perché questo complesso è formato da molti elementi. I colori erano appiattiti dalla patina nera dovuta allo sporco atmosferico e a microorganismi vegetali. Poi c’erano dei problemi di consolidamento a carico dell’arenaria – il tipo di roccia – che tende a sfaldarsi e un precario stato di conservazione. Quello che più stupisce le persone è vedere il colore così acceso: in realtà lo abbiamo riportato molto vicino all’originale. Il cotto non è sempre rosso, ma può formare un colore tendente al nocciola”.