La Madonna della Ferruzza è di Filippino Lippi. Le ricerche di Aurora del Rosso

22 agosto 2015 | 14:05
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La Madonna della Ferruzza è di Filippino Lippi. Le ricerche di Aurora del Rosso
La Madonna della Ferruzza è di Filippino Lippi. Le ricerche di Aurora del Rosso
La Madonna della Ferruzza è di Filippino Lippi. Le ricerche di Aurora del Rosso

Un giallo, quello della Madonna della Ferruzza, oggi conservata nell’omonima chiesa a Fucecchio, che attendeva di essere risolto da circa cinque secoli.

A sciogliere i nodi sul mistero della mano che realizzò l’affresco è stata un’insegnate e studiosa di Fucecchio, Aurora del Rosso, che dopo mesi di indagini nell’archivio del comune ha trovato i documenti che confermano l’attribuzione dell’affresco a un pittore fiorentino della seconda metà del 400 fiorentino, Filippino Lippi.
Una storia, quella della gestazione di questo affresco realizzato a partire dal 1473, per ora raccontata non dal contratto tra la committenza e l’artista ma solo dalle ricevute di pagamento. “Inizialmente – spiega al termine della sua indagine d’archivio Aurora Del Rosso – l’affresco non era nella chiesa, ma in un tabernacolo che era stato realizzato per la costruzione di una fontana. Il comune per realizzare il tabernacolo, fu sollecitato dal podestà di Fucecchio, Antonio Ferrucci, messo a capo del municipio dai Medici. Solo successivamente, intorno al tabernacolo è stata realizzata la chiesa”. In origine infatti l’affresco era chiamato della Madonna della Ferruzza, prendendo il nome proprio dal podestà. “Da anni – spiega Del Rosso – sospettavo che quel dipinto fosse stato realizzato da una mano di rilievo nel panorama artistico toscano della seconda parte del ‘400 e così ho provato a fare una prima ricerca, alla fine ho rintracciato le ricevute di pagamento del comune di Fucecchio al pittore, sette documenti che dimostrano proprio che il committente si era rivolto al pittore fiorentino Filippino Lippi per realizzare l’opera, pagandola 115 fiorini larghi e 2 lire. L’affresco è una sacra conversazione della Madonna con bambino tra san Giovanni Battista e sant’Antonio, figura, quest’ultima inserita forse proprio come rimando al podestà Ferrucci che aveva avuto un ruolo nell’assegnazione dell’incarico a Filippino Lippi”. E in effetti ora che la mano che ha tracciato quei tratti e steso quei colori ha un nome, i rimandi alla pittura o comunque alle maestranze che lavorarono con Filippino Lippi ci sono tutti: figure allungate e il gusto della classicità che il pittore aveva acquisito alla bottega di Botticelli ancora prima della sua conoscenza con Pinturicchio, confermerebbero l’attribuzione, che questa volta è arrivata per via documentale e non dall’analisi dell’opera, visto che gli esperti, prima degli studi di Aurora del Rosso, si erano limitati a collocare l’opera nella seconda metà del ‘400 e in ambito fiorentino.
Un’indagine affascinante, dove la storia di un dipinto di interseca con quella di Fucecchio e di due fontane della città – proprio dalla questione della fontane è partita in qualche modo questa ricerca, accenna Del Rosso – proiettando per una volta il passato di Fucecchio, nel 1473 ormai pienamente nella sfera di influenza fiorentina nelle vicende della grande pittura quattrocentesca della Toscana medicea. Una storia che Del Rosso ha raccontato in un libro che illustra tutte le ricerche, i sette documenti su cui si basa l’attribuzione e le vicende storiche di Fucecchio che fanno da sfondo all’opera di Filippino Lippi. Il libro verrà presentato il prossimo 5 settembre alle 10 nella chiesa della Ferruzza e in quella data probabilmente Aurora del Rosso avrà da raccontare ancora dei retroscena interessati sulla genesi e sulla storia della Madonna della Ferruzza.
Il quadro, oggi privato di una parte dei suoi colori per questioni conservative, in origine doveva avere almeno in parte un fondo azzurro e sicuramente la coloristica e i soggetti raffigurato oltre che le dimensioni erano riportate nel contratto tra il comune e il pittore non ancora rinvenuto. Nell’opera è possibile vedere alcuni dei tratti distintivi della pittura del giovane Lippi, acquisiti dalla cultura pittorica fiorentina del ‘400 dalla componete plastica della pittura di Masaccio, alla dimensione iperuranica della scena che Filippino aveva respirato dal neoplatonismo di Botticelli, al gusto per la classicità che si rintraccia nelle vesti di Sant’Antonio. Insomma un’opera forse da collocarsi più nella fase giovanile del pittore: nel 1473 Filippino non aveva ancora intrapreso il suo primo viaggio a Roma che lo metterà in contatto con le istanze pittoriche del primissimo rinascimento romano dove da Pinturicchio imparò il gusto della classicità e del decorativismo con motivi classici e l’utilizzo di una tavolozza più vivace.
Filippino Lippi, figlio del più famoso Filippo e della sua modella Lucrezia Buti, entrambi liberati dai vincoli dei voti per intercessione di Lorenzo dei Medici presso il Papa, fu un pittore che visse e respirò fin da piccolo le istanze della cultura pittorica fiorentina, fino a quel momento egemone sulla scena culturale italiane. Si formò con Botticelli e come lui percepì le tensioni della fine dell’umanesimo fiorentino dovute all’avvento del Savonarola e della sua “reazione”. Fu un buon interprete e sintetizzatore della tradizione pittorica toscana riuscendo a recuperare quella che erano state le principali intuizioni e scoperte della pittura umanistica e sintetizzando spesso nella sue opere elementi introdotti e più marcati nei principali pittori del quindicesimo secolo. Lavorò tra la Toscana, l’Umbria e Roma, spesso acquisendo anche committenze pubbliche da parte dei Comuni o dei centro secondari, come nel caso di Fucecchio, oltre che quelle più remunerative dei mecenati di Roma e Firenze, spesso ottenute grazie alle presentazioni degli stessi Medici.

Gabriele Mori