Ex Barbate ancora a rischio demolizione: il Tar non “salva” tutto l’impianto. Il caso potrebbe andare al Consiglio di Stato



Campi sportivi polivalenti, la cabina elettrica e parte del parcheggio non ricadrebbero nel vincolo paesaggistico
Niente da fare col Tar: la piscina delle ex Barbate è sempre appesa a un filo e si guarda al Consiglio di Stato. Questo il sunto della sentenza che mette nero su bianco le decisioni prese in udienza al Tribunale Amministrativo Regionale lo scorso giugno, quando è stata presa in esame la delicatissima situazione edilizia della struttura, oggi rinominata “La Giara” e punto di riferimento dell’estate a Montopoli Valdarno ma anche in un comprensorio molto più ampio.
La sentenza che doveva fare chiarezza in merito alla legittimità della piscina, dei tre campi sportivi polivalenti, di uno dei parcheggi e di parte della pavimentazione del cortile, è stata depositata nei giorni scorsi e non porta buone notizie per il proprietario Felice Candigliota. Il ricorso promosso contro il comune di Montopoli e la Soprintendenza dall’imprenditore, che alcuni anni fa aveva rilevato e ristrutturato con ingenti investimenti l’area del divertimento estivo in via Romanina, gli ha infatti dato solo in parte ragione, lasciando aperta la strada al rischio di incappare a breve in un’ordinanza di demolizione di alcune delle strutture più importanti, fra cui la stessa piscina.
Vicenda iniziata quasi un anno e mezzo fa, a seguito di una richiesta di accertamento di conformità da parte dei nuovi titolari da cui erano emerse delle irregolarità nei lavori fatti prima della vendita all’asta. Il problema principale è che i lavori delle strutture non riferite al casolare originario, dove oggi ci sono ristorante e bar, sarebbero stati realizzati senza una previa “verifica della compatibilità fra interesse paesaggistico tutelato ed intervento progettato”, come recita la legge. In sostanza, doveva essere richiesta un’autorizzazione, eventualmente concessa solo dopo un’analisi della documentazione urbanistica. Fra le molte cose finite sul tavolo dei giudici vi era anche la compatibilità paesaggistica che sarebbe stata violata da alcuni manufatti al momento della loro costruzione, legata all’eccessiva vicinanza alle sponde del torrente Chiecina.
Elementi, questi, che non sarebbero stati presi in considerazione dallo stesso Comune al momento di valutare l’opportunità di alcune opere. Potenziale negligenza che comunque per i giudici non giustifica in ogni caso gli autori dei lavori, che ne avrebbero dovuto tenere di conto tramite i propri tecnici. A fare da spartiacque fra opere lecite ed illecite, o comunque fra quelle passibili di eventuale sanatoria o meno, è l’entrata in vigore del “D.Lgs n. 157 del 2006, che ha reso più stringenti i presupposti per la regolarizzazione paesaggistica”. Usando questo criterio, in pratica il Tar ha deciso di valutare in modo diverso manufatti e strutture a seconda che fossero stati realizzati prima o dopo il 2006. Se la piscina ed i campi sono stati realizzati con concessione edilizia del 2004, tale concessione era scaduta al momento della realizzazione delle opere di finitura.
Tali opere, per i giudici “hanno prodotto una trasformazione assai significativa e permanente del territorio di riferimento” e hanno dato luogo ad “aumenti di superficie”. La piscina e le altre strutture al centro del dibattito sono inoltre “essenziali per l’esistenza stessa del centro sportivo” e quindi non possono essere considerate opere minori o pertinenze urbanistiche. Unica piccola vittoria dei ricorrenti riguarda invece i campi sportivi polivalenti, la cabina elettrica e parte del parcheggio che non ricadrebbero nel vincolo paesaggistico. “Stiamo valutando con gli avvocati modalità e opportunità di ricorso in Consiglio di Stato, per far valere le nostre ragioni” è l’unico commento di Candigliota. La parola, ancora una volta, potrebbe spettare ai giudici.