Pfas, dagli Stati Uniti la proposta di legiferare verso “soglia zero” di contaminazione

Greenpeace torna a parlare di "molecole eterne" dopo gli ultimi studi pubblicati e contestati da alcuni produttori italiani. Entro fine anno le decisione degli stati dell'Ue

Dopo la divulgazione di alcuni dati a livello europeo sui Pfas il dibattito su queste pericolosissime sostanze si è riaperto ma la politica italiana ancora non si è espressa, anche se dovrà farlo entro fine anno. Scrive infatti Greenpeace in una nota: “A seguito della diffusione dell’inchiesta giornalistica The Forever Pollution Project sulla contaminazione da Pfas (Sostanze perfluoroalchiliche note anche come “inquinanti eterni”) in numerose nazioni europee, Italia inclusa, e che nel nostro paese ha coinvolto le testate Radar Magazine e Le Scienze, Giuseppe Ungherese, responsabile della campagna Inquinamento di Greenpeace, dichiara: Questa indagine senza precedenti tocca un nervo scoperto su cui le autorità nazionali da tempo hanno scelto di non intervenire, nonostante sia chiaro che la contaminazione riguardi l’acqua, l’aria, gli alimenti e il sangue di migliaia di persone. Si tratta di un’emergenza ambientale e sanitaria fuori controllo. Esortiamo il governo, il parlamento e i ministeri competenti ad assumersi le proprie responsabilità varando in tempi brevi una legge che vieti l’uso e la produzione di tutti i Pfas, insieme all’adozione di adeguati provvedimenti di bonifica e all’individuazione di tutti i responsabili”.

La situazione europea e italiana

L’inchiesta ha rivelato l’esistenza di più di 17 mila siti contaminati in Europa, a cui si aggiungono altri 21mila siti in cui è possibile la presenza di Pfas a causa di attività industriali in corso o passate, e 2100 hotspot, ovvero luoghi in cui la contaminazione raggiunge livelli considerati pericolosi per la salute. La mappa italiana rivela elevati livelli di inquinamento non solo in alcune aree del Veneto, già tristemente note per essere uno degli epicentri europei dell’emergenza Pfas, ma toccano anche alcune zone del Piemonte, della Lombardia e della Toscana. Questo quadro potrebbe essere ben più grave considerando che non tutte le Regioni italiane effettuano monitoraggi capillari a differenza di Arpat che ormai è all’avanguardia per la “caccia ai Pfas”.

La Toscana

Già in commissione parlamentare nella relazione della scorsa primavera si affermava che: “Arpat individua nel territorio toscano, quali fonti di origine dei Pfas, il comparto tessile della provincia di Prato e un distretto conciario di valenza internazionale a Santa Croce sull’Arno, San Miniato e Fucecchio. Inoltre, Arpat ritiene come probabili fonti di pressioni anche gli impianti di trattamento delle acque reflue urbane e industriali e le discariche di rifiuti”. Sono questi i territori dai quali, secondo Arpat, proviene la maggior parte dei Pfas in Toscana. E, andando a leggere i dati dell’annuario presentato lo scorso 11 novembre si apprende che: “Il 70% delle stazioni in acque superficiali e il 30% delle stazioni in acque sotterranee monitorate in Toscana presenta residui di Pfas. Tutti i campioni del biota (animali e vegetali, pesci in primis) hanno residui di Pfas cioè nel 100% dei campioni monitorati”. E poi sempre Arpat scrive che: “Il 37% delle stazioni in acque superficiali monitorate supera gli standard europei di Pfas. Nelle acque sotterranee e nel biota non si rileva alcun superamento di soglia”. I colleghi francesi di Le Monde sul tema hanno realizzato una mappa interattiva costruita raccogliendo e organizzando dati da diverse fonti, pubbliche e private, e mostra i luoghi in Europa in cui è stata accertata una contaminazione da Pfas da parte di autorità ambientali (come le Arpa in Italia). La Toscana presenta due “zone rosse” quella di Lucca e quella di Pisa, oltre a Castagneto Carducci in provincia di Livorno e alcune zone di Massa, come si evince dalle foto delle mappe venute fuori da uno studio internazionale (The Forever Pollution Project). Entro il 31 dicembre i paesi membri dell’Ue sono stati chiamati a legiferare sui Pfas. Se le soglie subiranno ribassi tutti i valori ampiamente segnalati in Toscana da Arpat da anni ormai andranno completamente riscritti in ben altra chiave di lettura. Nel frattempo la politica regionale continua a tacere come quella nazionale. Si vedrà.

L’Echa europea

All’inizio di marzo, l’Agenzia europea per le sostanze chimiche (Echa) ha pubblicato la bozza di proposta per vietare a livello comunitario la produzione e l’uso di migliaia di Pfas, avviando un processo necessario per fermare la contaminazione di questi inquinanti eterni. Tra le nazioni promotrici del divieto figurano Germania, Paesi Bassi, Svezia, Danimarca e Norvegia, ma non l’Italia. Greenpeace, insieme a oltre cento organizzazioni della società civile europee, è promotrice del Ban Pfas Manifesto che chiede la messa al bando di queste pericolose sostanze.

Gli Usa

E sempre nei giorni scorsi l’Agenzia per la protezione dell’ambiente (Epa) degli Stati Uniti ha proposto l’introduzione di limiti estremamente cautelativi riguardo la presenza di sei molecole appartenenti al gruppo dei Pfas nell’acqua potabile. Per due di questi composti, Pfoa e Pfos, la cui pericolosità per la salute è nota considerata la loro classificazione come possibili cancerogeni, l’autorità americana ha proposto come limite lo zero tecnico, ovvero il valore più basso che le attuali strumentazioni sono in grado di rilevare, mettendo in pratica il concetto che per queste sostanze non esistono soglie di sicurezza.

I Pfas sono fra le sostanze chimiche (perfluoroalchiliche) più persistenti finora conosciute, e sono molto utilizzate per la capacità di isolare sia dal grasso che dall’acqua e per l’elevata stabilità e resistenza alle alte temperature e in Toscana il comparto tessile, il comparto conciario e il comparto cartario, secondo la commissione parlamentare, sono le realtà regionali che avrebbero fatto o fanno uso di queste sostanze dette anche molecole eterne proprio per la loro struttura chimica indistruttibile e altamente nociva e tossica per l’ambiente e la salute. I pochi “contestatori” di tale pericolosità hanno sempre meno argomenti man mano che la comunità scientifica nazionale si compatta sempre più intorno ai Pfas e alla loro totale messa al bando sostituendoli con altre sostanze già presenti in commercio e con caratteristiche simili per i bisogni industriali ma assolutamente innocue. Certo costano un po’ di più ma chi non pagherebbe qualcosa in più per stare al sicuro?
 

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