Formazione del campione e autocertificazioni: i problemi “politici” del keu in una relazione al Parlamento

Sono venute fuori dalla verifica parlamentare due criticità specifiche legate alla normativa vigente
I problemi politici e normativi del Keu, che non é solo un processo della Dda di Firenze o il materiale di risulta del settore conciario ma molto di più, al centro di una relazione al Parlamento. Il 4 aprile prossimo inizierà davanti al gup distrettuale il processo per 12 dei 38 indagati, cioè quelli per i quali la Dda ha già richiesto il rinvio a giudizio, per gli altri 26 gli inquirenti hanno tempo fino al 21 maggio prossimo per le richieste ufficiali al gup.
Ma nel frattempo emergono sempre più insistentemente altri aspetti della vicenda tra i quali quelli politici e normativi. Secondo la relazione presentata alle Camere (Senato e Camera dei deputati) il 7 settembre dello scorso anno dalla “Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e illeciti ambientali correlati”, sono venute fuori dalla verifica parlamentare due criticità specifiche legate alla normativa vigente, quindi problemi politici che solo il mondo della politica può e deve risolvere (regionale e nazionale) nell’interesse dei cittadini e dei conciatori della Toscana. La relazione contiene numerosi argomenti e un capitolo è dedicato proprio al Keu. Innanzitutto vengono analizzati il contesto e le risultanze investigative ma alla fine le ultime righe sono interamente dedicate agli aspetti politici e legislativi della faccenda. Un vuoto normativo che andrebbe colmato, da Stato e Regione, e la corretta applicazione delle normative attuali per tutto ciò che riguarda i controlli e le autorizzazioni.
Nella relazione, infatti, al termine di tutta una serie di articolate riflessioni si legge: “Mettendo insieme tutti questi elementi si era ipotizzata una originaria attività illecita che, in particolare, si concentrava nella produzione di questo Keu, laddove le anomalie emergevano innanzitutto dalla lettura dell’atto autorizzativo rispetto all’effettivo impiego di questo Keu. Si tratta come è evidente, di un fatto illecito, come tale oggetto di specifica indagine, che per le sue dimensioni e le sue connessioni con un comparto produttivo di primaria rilevanza, deve suscitare allarme e indurre gli organi di controllo ad un’intensa vigilanza”.
E qui iniziano le contestazioni finali della relazione sulle vicende legate al Keu che sono anche un monito e un consiglio sulla strada da seguire. Prosegue la relazione. Sul punto, sollecitati da domande della Commissione, gli auditi hanno formulato dei rilievi: “Succede che il soggetto produttore del rifiuto per la certificazione dello stesso si rivolge a dei laboratori autorizzati che fanno delle analisi secondo procedure standard. Qual è il momento di criticità? Il momento di criticità è quello della formazione del campione, poiché non vi è un atto normativo che impone l’obbligo al laboratorio di analisi di certificare tutta la filiera della classificazione del rifiuto. Nella vicenda specifica abbiamo notato che lo stesso produttore del rifiuto formava un campione a proprio gusto, piacimento e comodo e poi lo forniva al laboratorio che rispetto a quel campione certificava le caratteristiche analitiche che evidentemente erano veritiere, ma rispetto a un campione che non era stato formato dal professionista incaricato”. Incredibile ma vero. Secondo la relazione, dunque, detto in parole povere, è come se i controlli antidoping per un calciatore a fine partita non fossero effettuati su un campione di urina del momento ma fosse concesso al calciatore di portarsi da casa il campione da analizzare.
Infine si affronta il tema delle autorizzazioni: “L’altro profilo di criticità si trova in tanti atti autorizzativi. Il non detto è che l’atto autorizzativo che disciplina le modalità non può essere esaustivo di tutti gli obblighi e di tutte le prescrizioni, poiché c’è una cornice normativa generale che impone obblighi e prescrizioni di ordine generale. Nel caso specifico degli impianti di trattamento degli inerti attraverso il Keu, il riferimento al test di cessione per il recupero di rifiuti inerti, è scritto in maniera sintetica, ma implicitamente non può che essere riconducibile al sistema normativo generale e, in particolare, al sistema delle modalità di recupero previste dal decreto ministeriale 5 febbraio del 1998, che rappresenta, questa è l’altra criticità, una normativa residuale che fa riferimento solo alle autorizzazioni semplificate, ovvero alle autodichiarazioni. Questa normativa residuale, il minimo di tutela, non può essere dimenticata e l’atto autorizzativo, per non aver detto esplicitamente certe cose, non può essere interpretato nel senso di poter derogare a quel minimo di tutela. Queste sono le due criticità che, a volte, permettono al sistema di concedere un alibi, una scusa o un espediente a chi vuole operare abusivamente”.
Parole chiare e precise nella loro complessità e delicatezza. Le modalità dei controlli e delle autorizzazioni vanno, in pratica, corroborate da normative più specifiche e attuali per evitare “espedienti e abusi” in futuro e a prescindere dagli esiti giudiziari del processo Keu della Dda di Firenze. La Regione Toscana per quanto di sua competenze è già intervenuta o sta per farlo rispetto alla situazione fotografata dalla relazione del settembre del 2022? E per la parte statale, invece, sta facendo o ha già fatto pressioni sul Governo per ottenere normative e modalità più stringenti ed efficaci? Forse anche l’Arpat che è un fiore all’occhiello della Regione andrebbe potenziata e resa ancora più indipendente. Insomma non c’è solo il processo giudiziario quando si parla di Keu, ma le bonifiche e tutte le normative necessarie affinché non si ripetano mai più certi comportamenti, la sicurezza dell’ambiente e la salute dei cittadini devono essere sempre al primo post dell’azione politica. Ne va anche “dell’onore” di uno dei principali comparti produttivi ed economici della Toscana.