Mafia e pallets, per la Cassazione il processo si deve celebrare a Firenze
Era già iniziato quando, per una serie di motivazioni, era stato interrotto e trasferito a Palermo
Mafia e pallets, il processo “Golden wood” si deve celebrare a Firenze. E’ questa la decisione definitiva della suprema corte di Cassazione dopo mesi di ricorsi e controricorsi da parte del tribunale fiorentino e di quello palermitano. I boss di Cosa nostra saranno processati nella aule giudiziarie toscane, e questa decisione la dice lunga e probabilmente taglia di netto la testa al toro rispetto a chi ancora ha dubbi sulla presenza pervasiva della criminalità organizzata in Toscana, da anni ormai.
Il processo era già iniziato a Firenze perché avviato da indagini della guardia di finanza coordinata proprio dalla Dda fiorentina ma poi per una serie di motivazioni era stato interrotto, a udienze già cominciate, e trasferito a Palermo. Lo scorso 30 dicembre l’ultima parola sulla querelle giudiziaria relativa alla competenza degli ermellini che hanno chiarito in sentenza la vicenda.
Scrive infatti in sentenza la Cassazione: “Deve, quindi, essere dichiarata la competenza del Tribunale di Firenze, al quale vanno trasmessi gli atti, ferma l’applicazione dell’art. 26 cod. proc. pen. quanto alle prove nel frattempo acquisite dal Tribunale di Palermo”. E non si tratta di un processo tra i tanti alla criminalità organizzata e in questo caso a cosa nostra siciliana non solo per le accuse e le ipotesi di reato della Dda di Firenze ma per il peso, la caratura mafiosa di molti dei 28 che dovranno affrontate la fase dibattimentale del procedimento giudiziario a loro carico nelle aule del tribunale fiorentino già nelle prossime settimane.
L’operazione Golden wood del 2020
Tutto era iniziato nel febbraio del 2020 quando la Dda fiorentina aveva arrestato 12 persone in un blitz ad opera della gdf e iscritto nel registro degli indagati circa 60 persone. Le dodici persone nei confronti delle quali la guardia di finanza di Prato aveva eseguito sei misure cautelari in carcere e sei agli arresti domiciliari, avrebbero riciclato proventi degli affari criminali del clan palermitano di Corso dei Mille, capeggiato da Pietro Tagliavia, condannato con sentenza irrevocabile per il reato di associazione mafiosa, figlio di Francesco Tagliavia, condannato all’ergastolo per le stragi di via d’Amelio a Palermo e via dei Georgofili a Firenze.
I reati contestati ai 60 indagati sono associazione a delinquere finalizzata a riciclaggio, autoriciclaggio, emissione di fatture per operazioni inesistenti, nonché reati di intestazione fittizia di beni, contraffazione di documenti di identità e sostituzione di persona, tutto aggravato dal metodo mafioso. Gli inquirenti, in particolare, hanno ricostruito un flusso illecito di denaro per circa 150 milioni di euro, di cui 39 provenienti direttamente da soggetti di Palermo legati alla Mafia. Boss e picciotti di Cosa nostra di calibro nel panorama mafioso.
Tutti i soldi per la Dda erano denari riciclati principalmente nell’economia toscana. L’associazione a delinquere avrebbe immesso nel circuito economico sano regionale denaro di provenienza illecita attraverso la creazione di una galassia di 33 imprese con sedi in tutta Italia, in particolare in Toscana, Sicilia e Lazio, tutte aventi per oggetto sociale il commercio dei pallets, le pedane in legno usate per il trasporto e la movimentazione di materiale. Le fatture inesistenti venivano emesse sia tra aziende interne al gruppo criminale, sia a favore di aziende ad esso estranee, che usufruendo del servizio illegale si garantivano vantaggi fiscali. Le imprese ‘sane’ versavano tramite bonifico alle cartiere facenti capo al gruppo criminale il corrispettivo degli importi falsamente fatturati (per consegne di pallets mai avvenute), che poi veniva restituito in contanti, decurtato del 10%.
Lo scopo del sodalizio illecito era, dunque, riciclare, ostacolando l’identificazione della provenienza delittuosa, i proventi criminali della famiglia mafiosa di Corso dei Mille di Palermo, capeggiata da Pietro Tagliavia. In particolare, hanno sottolineato gli inquirenti, gli indagati si erano messi a completa disposizione di Pietro Tagliavia nel periodo in cui egli era detenuto presso la casa circondariale di Prato, tanto da reperirgli nel 2017 un’abitazione in Campi Bisenzio (Firenze) dove aveva scontato gli arresti domiciliari e fornirgli, clandestinamente ed in violazione delle prescrizioni imposte dall’autorità giudiziaria, un telefono con cui mantenere contatti anche con i propri sodali in Sicilia. Sulla presenza di Tagliavia e dei suoi possibili fiancheggiatori a Campi Bisenzio proseguono gli accertamenti. Emergono dalle indagini in particolare due gruppi familiari di origine siciliana, imparentati tra loro, trasferitisi nel Lazio e in Toscana. Sono state 120 le perquisizioni eseguite questa mattina dalla Gdf, nel corso delle quali sono stati sequestrati anche denaro e armi. Sequestrate, inoltre, all’epoca 15 aziende e 86 conti corrente.
Il trasferimento del processo a Palermo prima di tornare per sempre a Firenze
A udienze già iniziate, nell’ottobre del 2021, ed esattamente alla terza udienza, il tribunale di Firenze aveva accolto un’eccezione di incompetenza territoriale presentata dagli avvocati difensori di alcuni imputati, e aveva disposto il trasferimento dell’intero fascicolo al tribunale di Palermo, considerato competente per territorio, dove doveva poi esser fissata una nuova udienza preliminare. Ma a quel punto era stato il Tribunale palermitano a proporre controricorso a in Cassazione.
Tutto si era dunque fermato in attesa delle decisioni dei giudici di Piazza Cavour. Per le indagini della Dda di Firenze, coordinate all’epoca dai pm Giuseppina Mione e Francesco Sottosanti, la presunta associazione a delinquere di stampo mafioso avrebbe immesso, nel circuito economico legale, denaro di provenienza illecita, attraverso la creazione di una rete di 33 imprese con sedi in tutta Italia, in particolare in Toscana, Sicilia e Lazio, tutte aventi per oggetto sociale il commercio dei pallets, le pedane in legno usate per il trasporto e la movimentazione di materiale. Il gruppo criminale avrebbe riciclato, anche attraverso l’emissione di fatture false, oltre 48 milioni di euro di proventi illeciti derivanti dagli affari criminali della famiglia mafiosa di Corso dei Mille di Palermo, capeggiata da Pietro Tagliavia. L’udienza preliminare, celebrata ad aprile del 2021 a Firenze, si era conclusa con 28 persone rinviate a giudizio, la cui posizione doveva essere valutata di nuovo dal gup di Palermo, ma ora si tornerà in Toscana per il processo, e una volta per tutte. Inoltre l’udienza preliminare di Firenze aveva portato a 18 patteggiamenti, tre condanne e un’assoluzione in abbreviato. Ora il procedimento giudiziario riprenderà e definitivamente a Firenze.
Le 28 persone che dovranno comparire in aula a Firenze
Secondo la suprema corte di Cassazione questi i nomi dei 28 imputati del processo “Golden wood” che riprendere una volta per tutte a Firenze e sarà compito della Dda toscana rappresentare l’accusa in aula. Nomi pesanti nel panorama della criminalità organizzata e in cosa nostra siciliana in particolare: Bracco Santo, Clemente Francesco Paolo, Clemente Giacomo, Clemente Leonardo, Clemente Pietro, Imperiale Alfonso Domenico, Mandalà Francesco Paolo, Rotolo Filippo, Rotolo Giulia, Rotolo Vincenzo, Saladino Francesco Paolo, Di Mariano Giuseppa, Di Mariano Virginia, Filippone Antonino, Filippone Claudio, Geloso Alessandro, Geloso Angelo, Lo Bono Giovanni, Mistretta Giuseppe, Orlando Rosalia, Pantina Santo, Petrone Claudio, Petrone Paolo, Presa Luciano, Riina Antonino, Rotolo Giovanni, Saladino Salvatore, Zaccaria Giovanna.