Omicidio Cioni, condannati i Piazzesi. Quattro anni al figlio Alessandro, due al padre Mauro



Travolsero e uccisero Raghi mentre era in bici lungo via Maremmana nel 2016. In aula decisive le indagini del carabinieri
Investito e ucciso per strada, condannati padre e figlio. Il tribunale di Pisa ha riconosciuto colpevole di omicidio stradale aggravato e omissione di soccorso Alessandro Piazzesi, 46 anni, condannandolo a 4 anni di reclusione, mentre per il padre, Mauro Piazzesi, la condanna per simulazione di reato è stata di 2 anni. Questa la sentenza di primo grado che voleva far luce sulla morte di Raghi Cioni, trentenne all’epoca del decesso, investito in bici il 15 dicembre 2016 nella via Maremmana che collega Ponte a Egola a La Serra.
Fin dai primi minuti dopo l’allarme, quando il corpo e la bici di Raghi furono rinvenuti in via Maremmana, ai carabinieri che avviarono le indagini apparve evidente che qualcosa non tornava, che c’era qualcuno che probabilmente sapeva e si era dileguato rapidamente dopo l’incidente. Infatti in poco più di 48 ore i carabinieri coordinati nella indagini prima dal maggiore Antonio Trombetta al tempo dei fatti comandate della compagnia e poi dal colonnello Gennaro Riccardi riuscirono a individuare i due potenziali colpevoli. A lavorare sul campo nella indagini estremamente complesse e accurate che hanno permesso di individuare a suo tempo i Piazzesi come possibili responsabili fu il luogotenente dei carabinieri Davide Daini del norm di San Miniato. Daini con i suoi uomini fin da subito cominciò dai piccoli elementi raccolti sul luogo dell’omicidio stradale in particolare i pezzi di fanale del furgone, a rimettere insieme il puzzle delle prove che poi trovarono riscontro nella triangolazioni telefoniche che dimostrarono il percorso fatto dal furgone dei Piazzesi e nell’attività investigativa fatta sulle carrozzerie della zona da cui emerse che fin da subito padre e figlio secondo l’accusa, avevano cercato di dissimulare la loro presenza sul luogo dell’incidente e poi avevano tentato di riparare da soli il veicolo colpito nell’impatto dopo averne denunciato il furto mai avvenuto. Alla fine un’indagine fatta bene per quanto complessa che in aula ha retto anche alle eccezioni della difesa dei Piazzesi. Un’indagine che ha permesso di fare luce su un omicidio stradale che facilmente poteva rimanere impunito, visti anche i pochi elementi di partenza a disposizione dei carabinieri.
Raghi venne investito dal furgone nel tardo pomeriggio e i due non si fermarono a prestare soccorso secondo la ricostruzione processuale. Le indagini individuarono il mezzo in quello di proprietà dei Piazzesi, padre e figlio, confrontando i reperti della scena della tragedia con quelli del mezzo. Secondo l’accusa Piazzesi Alessandro era alla guida, mentre poi padre e figlio denunciarono un furto del camion cercando di spostare la responsabilità verso altri. In pratica il figlio avrebbe causato l’incidente e il padre l’avrebbe protetto, secondo l’ipotesi accusatoria accolta dai giudici pisani.
Un vento la moprtedi Raghi, che colpì emotivamente tutto il Comprensorio sia per la giovane età del ragazzo, ma anche per come era morto e sopratutto per quel fatto , che i lsuo investitore non si era neppure fermato per tentare di soccorrerlo. Inoltre i genitori di Raghi sono persone conosciuto a Santa Croce e San Miniato, sia per essere stati dipendenti del comune di Santa Croce, ma soprattutto per la grande umanità e solidarietà che hanno sempre dimostrato verso il prossimo.
Il fratello di Raghi, Adriano ha postato su Facebook un lungo e accorato discorso appena saputo della sentenza. “Non voglio dimenticarmi di niente, non voglio perdere alcun dettaglio, nessuna immagine o emozione, non voglio dimenticarmi nemmeno le cose che per nottate intere non mi hanno fatto dormire, tutto fa parte di me e nessuno può toccare i traumi che questo accaduto mi ha provocato, ma la cosa che ho potuto fare è stata elaborarli per trasformarli in ricordi che per sempre faranno parte di me. Ancora oggi il rumore di un trapano che avvita una vite mi da fastidio, è il rumore, è il suono che mi ha provocato più dolore di tutta la mia vita, il suono del trapano che chiudeva la tua bara con delle viti, è stato ciò che mi ha separato da te per sempre. Avevo 24 anni, e oggi ne ho 30, sono passati 6 anni senza di te, 72 mesi, 2300 giorni circa, 55.000 ore circa, tutti questi numeri che appartengono a un tempo hanno caratterizzato la mia persona attraverso il dolore, attraverso la tua mancanza. Finalmente dopo 6 anni, possiamo mettere un punto a questo processo. Finalmente dopo 6 anni abbiamo un imputato dichiarato colpevole per la tua morte”.