Non pagano l’affitto e c’è lo sfratto, ma servono due anni per riavere la casa. Con danni per migliaia di euro






La proprietaria: “Ci siamo sentiti abbandonati da tutti, il Comune ha preferito proteggere chi era nell’illegalità”
“Una di quelle cose che uno pensa che non gli capitino mai, e invece. Ora abbiamo potuto festeggiare, ma rimane l’amaro in bocca per i danni”. Non potevano immaginare che sarebbe successo questo Carmelo Barone e Paola Baronti, marito e moglie che vivono a Montopoli Valdarno. I due coniugi si sono ritrovati con una casa occupata e “con un Comune che invece di venire incontro al cittadino, ce l’ha messa tutta per ritardare l’esecuzione dello sfratto”. Da oltre due anni la coppia porta avanti una battaglia legale per riavere la casa – fino a pochi giorni fa occupata da una famiglia con tre bambini piccoli – tra spese legali e continue chiamate agli uffici competenti. La buona notizia è arrivata pochi giorni fa, il 15 di giugno, con l’esecuzione dello sfratto e la sistemazione della famiglia; tuttavia, subito dopo i proprietari di casa si sono resi conto dell’entità dei danni riportati all’abitazione: 30mila euro a occhio e croce.
La storia inizia nel 2019, quando un conoscente chiede a Paola Baronti un piacere: ospitare una famiglia del Bangladesh che era stata appena sfrattata. Mossa da compassione e forte della sua attività pluriennale come responsabile parrocchiale della Caritas, Baronti non ha saputo dire di no, superando anche l’iniziale scetticismo del marito, dovuto al fatto che non conoscessero bene le persone che sarebbero diventate i loro inquilini. Dopo le rassicurazioni del caso e attraverso un’opera di convincimento la famiglia composta da babbo, mamma in dolce attesa e figlia piccola è riuscita ad entrare in casa.
Non una casa qualunque, ma “una signora casa – come la definisce Baronti -: è stata arredata dopo il matrimonio e quindi aveva mobilio e rifiniture di pregio, camino e riscaldamento a metano, pannelli solari per l’acqua calda e un garage”. Nel 2019 viene firmato un regolare contratto che prevede un affitto di 500 euro al mese. Nella casa entra, oltre alla famiglia, anche un’altra coppia che avrebbe diviso le spese. Fin qui non ci sono grossi problemi, l’affitto viene pagato regolarmente e la casa è tenuta in buone condizioni. “Ci sono stata un paio di volte nel 2019 – racconta Baronti – e ho avuto fiducia, non li ho tallonati più di tanto”.
I problemi iniziano l’anno successivo, nel 2020. “Secondo quanto era scritto nel contratto l’affitto sarebbe dovuto passare a 600 euro – spiega la proprietaria di casa -. Nel frattempo, c’erano stati dei cambiamenti perché la famiglia aveva litigato con la coppia di coinquilini e quest’ultimi avevano lasciato la casa. A loro era subentrata un’altra persona, che noi abbiamo provveduto ad aggiungere al contratto. Da inizio 2020 noi non abbiamo più ricevuto un euro di affitto. Ma è importante sottolineare una cosa: il nuovo inquilino pagava la sua quota di 300 euro all’affittuario principale, solo che questo se li intascava”. Va detto anche che il nuovo inquilino, una volta lasciata la casa, ha voluto saldare tutti i conti in sospeso con i proprietari.
In questa fase, dopo tre o quattro mesi di mancato pagamento, i due coniugi decidono di rivolgersi a un legale di fiducia e parte la lettera dell’avvocato. Poco dopo, alla vista delle condizioni di decoro dell’abitazione che sempre più scarseggiavano, arriva anche lo sfratto, che viene convalidato dal tribunale di Pisa il 19 ottobre del 2020. La tensione a quel punto sale e i rapporti con gli inquilini si fanno davvero complicati. Iniziano a emergere i primi danni alla casa e, con essi, i primi rifiuti di provvedere alla sistemazione. “Nel frattempo, era nata anche l’altra bimba e – racconta Baronti – ho iniziato a notare tutti i mobili scritti e graffiati. Poi ci chiamavano perché la caldaia non funzionava ma non volevano fare la revisione dei fumi”.
La situazione, comprensibilmente, era delicata: in questi due anni e mezzo sono stati tanti i motivi che hanno ritardato lo sfratto. A partire dal blocco degli sfratti varato in conseguenza dell’emergenza covid. E poi, in presenza di minori sono necessari più richiami dell’ufficiale giudiziario. La coppia di proprietari si rende conto delle difficoltà di rientrare in possesso dell’abitazione e si rivolge al Comune in cerca di consigli su come muoversi e affinché l’ente potesse dare una mano nel trovare una nuova sistemazione alla famiglia di inquilini. “Qui ci siamo sentiti veramente abbandonati – dice Baronti -. Abbiamo riscontrato delle resistenze e un totale disinteresse verso la questione. Per mesi non siamo riusciti a parlare con i servizi sociali, che sembra abbiano fatto di tutto per ritardare lo sfratto, anche di fronte alle evidenze di situazioni di pericolo e di condizioni igienico sanitarie al limite della decenza”.
Le condizioni di pericolo a cui fa riferimento la proprietaria di casa riguardano l’impianto di riscaldamento. “Dopo la rottura della caldaia hanno portato tre bombole di gas in casa. Io ho chiamato i carabinieri perché era troppo rischioso. Inoltre, per riscaldare l’acqua in bagno, avevano posizionato un bollitore attaccato alla corrente proprio sul lavandino”.
“Io mi chiedo – questo il rimprovero di Baronti – come mai i servizi sociali non siano intervenuti prima in una situazione non solo di degrado e sporcizia, ma anche di pericolo vero e proprio, per di più con la presenza di tre minori, perché nel frattempo è nato anche un terzo figlio. Hanno vissuto i mesi invernali senza riscaldamento. In due anni e mezzo non siamo riusciti mai a sentire la voce di un assistente sociale, se non il giorno dello sfratto. Lo stesso vale per il sindaco e per l’assessore Vanni, con i quali c’è stato uno scambio di messaggi e un paio di incontri che non hanno mai portato a nulla. L’unica persona che veramente dobbiamo ringraziare è un ragazzo dell’ufficio casa, che ho tartassato di telefonate ed è sempre stato disponibile”.
In questa vicenda ci sono anche un paio di paradossi. Il primo è che “l’ufficio anagrafe ha dato la residenza alla moglie quando c’era già la convalida di sfratto. La moglie si era fatta assicurare come badante, ma l’ufficio avrebbe dovuto accertarsi di tutte le condizioni”, sostiene Baronti. E in effetti, spiega il legale che assiste la coppia di proprietari, dal momento in cui scatta la convalida dello sfratto, il conduttore, cioè colui che è in affitto, perde il legittimo possesso dell’immobile, condizione necessaria da dichiarare al momento della richiesta di residenza. In altre parole, la convalida dello sfratto sarebbe incompatibile con il riconoscimento della residenza perché non sussiste più il legittimo possesso dell’immobile.
Dal 2020 fino al giugno 2022 l’unica cosa che i coniugi sono riusciti a ottenere è stato il pignoramento di un quinto dello stipendio dell’attore principale. Una cifra che in alcuni casi è stata veramente irrisoria, visto che il soggetto è stato per un certo periodo in disoccupazione. Ma ci avviciniamo al giorno dello sfratto: dopo i primi due richiami dell’ufficiale giudiziario la famiglia non si è mossa. Solo al terzo richiamo, il 15 giugno, hanno lasciato la casa dopo circa tre ore. “La soluzione trovata dal Comune – spiega Baronti – è stata quella di collocare la famiglia in una struttura ricettiva a spese del Comune. Dopo due anni e mezzo non sono riusciti a trovare una casa”.
I festeggiamenti però non sono durati molto e sono stati bruscamente interrotti dalla conta dei danni. “Pareti sbollate, screpolate, mobili graffiati, cucina annerita e macchie di olio ovunque. Senza contare il disordine. Ancora mi chiedo come abbiano permesso che tre minori vivessero in una condizione di disagio come quella”, conclude Baronti.