Ordina la pelle per le scarpe a Santa Croce, calzaturificio ci trova il cromo esavalente

Rimanda tutta la partita al mittente e la vicenda finisce in tribunale con una lite tra conceria e fornitore dei prodotti chimici
L’annosa questione del cromo esavalente (metallo, dal punto di vista chimico, estremamente nocivo per la salute dell’uomo, capace di avere effetti gravi sulla salute umana e sull’ambiente) torna nel Comprensorio del cuoio e non solo, in modo del tutto incidentale.
Il cromo è infatti, ampiamente presente nel processo di lavorazione della pelli, ma dovrebbe essere solo quello trivalente notevolmente meno nocivo per uomo e ambiente.
Questa volta il cromo esavalente, quello “cattivo” per dirla semplicemente, torna alla ribalta in una sentenza del tribunale civile di Pisa. Di per sé non è interessante la sentenza, ma il fatto che ancora una volta spunti il cromo esavalente.
Tutto comincia alcuni anni fa, quanto un calzaturificio di livello industriale del Novarese, chiede a una conceria di Santa Croce sull’Arno, di produrgli pellame per una partita di scarpe che da lì a breve sarebbe stata confezionata e immessa sul mercato. La conceria, vista anche l’importanza dell’ordine, si attiva rapidamente e ordina ad un’azienda chimica di primissimo piano, che opera in Valdarno, i componenti chimici per produrre il pellame con le caratteristiche richieste del committente.
Ad un certo punto, dopo alcuni mesi, l’industria calzaturiera ricevute le prime consegne dalla conceria di Santa Croce sull’Arno, blocca l’ordine e rimanda la merce al mittente. Il motivo? Il calzaturificio che diligentemente si è fatto carico di verificare la caratteristiche anche chimiche della pelle consegnata, scopre attraverso una perizia tecnica commissionata ad un laboratorio chimico che il pellame è pieno di cromo esavalente e quindi è inutile confezionare scarpe con quel materiale, oltre che essere pericoloso per gli operai che la lavorano. La merce risulterebbe comunque eticamente invendibile: nessuno vorrebbe calzare una scarpa sapendo che contiene cromo esavalente. In pratica, come si legge in sentenza, la pelle consegnata non era conforme al regolamento europea CE 1907/2006 che vieta l’utilizzo e la commercializzazione di pellame contenente cromo esavalente L’unione infatti aveva da tempo disciplinato che l’utilizzo del solo cromo trivalente o di estrarre il cromo esavalente dalla pelle se presente.
La conceria, a quel punto, non paga l’azienda che le ha fornito i prodotti chimici e la “ricetta per lavorare la pelle” e ottenere i requisiti chiesti dalla ditta di Novara. Da qui ne nasce un contenzioso anche perché l’azienda calzaturiera, che era sempre stata cliente della conceria, interrompe ogni rapporto e decide di approvvigionarsi di pellame altrove. Così la conceria, oltre ad avere perso la commessa, perde anche il cliente e lamenta in tribunale un mancato guadagno o meglio un danno emergente.
In sede dibattimentale emergono varie questioni e alla fine, per quanto riguarda il cromo, il tribunale accetta la lettura suffragata da dati tecnici, che forse il metallo esavalente si era prodotto per un processo di ossidazione del cromo trivalente quanto la conceria è andata a trattare la pelle con il colorante fornito dall’azienda chimica. Un’ipotesi che, per quanto rocambolesca anche dal punto di vista chimico, è stata accettata nella sentenza firmata del giudice del Tribunale di Pisa, Laura Pastacaldi.
Sta di fatto che il cromo esavalente, che era l’elemento chimico finito anche al centro di parte dell’indagine dal commissione parlamentare d’inchiesta del 2017 sui rifiuti in Toscana, per quanto riguardava il distretto conciario del Valdarno, torna a farsi vedere ancora una volta con tutto ciò che questo può comportare dal punto di vista sanitario e ambientale e dell’immagine del distretto. Poco importa, alla fine, se il cromo fosse esavalente fin dall’inizio della lavorazione della pelle o si sia ossidato nel ciclo produttivo, sta di fatto che il compratore, l’azienda calzaturiera, alla fine si è fatta un po’ di scrupoli e ha verificato, ma se questo non fosse accaduto potenzialmente si sarebbero potute commercializzare scarpe al cromo esavalente.
Per la cronaca, alla fine il tribunale ha accolto le richiesta dell’azienda chimica e ha condannato la conceria a pagare il costo dei prodotti, oltre 70mila euro, gli interessi di mora e le spese di lite in quanto la conceria non è riuscita a dimostrare di avere utilizzato nel ciclo di lavorazione delle “croste” (la pelle grezza) solo i loro prodotti.