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Cronaca
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Inchiesta Bad juice, a processo tutti gli indagati. Il Riesame aveva invertito due aziende

29 aprile 2022 | 16:25
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Inchiesta Bad juice, a processo tutti gli indagati. Il Riesame aveva invertito due aziende

Errore sanato dalla Cassazione

Sono 14 le persone, tra imprenditori e impiegati, rinviate a giudizio dal gup del tribunale di Pisa nell’ambito dell’indagine sul falso bio. Tutti gli indagati dovranno quindi affrontare il processo, nell’ambito dell’inchiesta denominata Bad juice, che intendeva fare luce su una presupposta contraffazione alimentare di falso biologico per quanto riguarda i succhi di frutta alla mela.

Il gup ha accolto la richiesta degli inquirenti. L’accusa agli imputati è quella di associazione a delinquere finalizzata alla vendita di prodotti realizzati con mele scadenti contaminate da pesticidi e tossine e per questo nocivi e pericolosi per la salute dei consumatori, spacciandoli come prodotti provenienti da agricoltura biologica comunitaria, da destinare anche al baby food. A processo andrano i fratelli Walter e Giorgio Buonfiglio di 57 e 53 anni imprenditori di Ponsacco e proprietari della Italian Food di San Miniato; Tiziana Poppa, 47 anni, di Calcinaia; Agostino Contursi, 58 anni, di Nocera Inferiore; Ciro Barba, 61 anni, di Nocera Inferiore; Maria Policastro, 48 anni, di Castelfranco di Sotto; Beatrice Caponi, 40 anni, di Pontedera; Franz Schweigkofler, 56 anni, residente in provincia di Bolzano ai capo della Dolomiti Fruits prima delle dimissioni avvenuta nel dicembre scorso dopo il sequestro; Alessandro Cammelli, 57 anni, di Lavis, proprietario della Dolomiti fruits service; Martino Medri, 80anni, imprenditore, titolare della Bagnarese Spa, residente in provincia di Ravenna; Mariateresa Oliva, 31 anni, di Nocera Inferiore; Alexander Ramovic, serbo, 32 anni; Stefano Mantovan, 54 anni, di Legnago, e Fabrizio De Santi, 57 anni, padovano, della Bio Areas. Si sono costituite come parti civili il Codacons e alcune aziende che ricevevano i prodotti considerati alterati.

L’errore del Riesame rimediato dalla Cassazione

Nella fase preliminare, oltre agli arresti e alle indagini, c’erano stati anche sequestri di bene per equivalente ma in uno di questi sequestri il tribunale del Riesame di Pisa ha commesso un errore sanato dalla suprema corte di Cassazione proprio nei giorni scorsi. E ricordiamo che i sequestri di beni ai fini di confisca non seguono pedissequamente le vicende penali ma hanno un loro iter anche se legato al procedimento. L’incredibile errore riguarda due aziende dal nome simile ma che si riferiscono a due diversi indagati.

I giudici del Riesame hanno confuso i nomi e invertito le posizioni, solo che una aveva subito un sequestro da 2,5 milioni di euro mentre l’altra da 500mila euro. Si legge infatti nella sentenza della Cassazione che ha posto rimedio all’errore dei colleghi di Pisa: “Con il dispositivo, il gip ha ordinato il sequestro preventivo in via diretta o, in caso di non rinvenimento dei relativi importi sui c/c delle società, il sequestro per equivalente finalizzato alla confisca, da estendersi ai patrimoni mobiliari e immobiliari dei rispettivi legali rappresentanti di: 1) Dolomiti Fruits s.r.l. per complessivi euro 2.408.257, 26; 2) Dolomiti Fruits Service per complessivi euro 532.529,98. Come risulta dall’epigrafe del provvedimento impugnato, che contiene pochi riferimenti ai nomi degli indagati e alle società coinvolte nel procedimento, il tribunale cautelare risulta avere deciso, relativamente all’impugnazione de libertate proposta da Alessandro Cammelli, in ordine al sequestro della somma di euro 2.408.257,26 e di un’auto Smart nel procedimento penale nei confronti di Cammelli Alessandro quale rappresentante della Dolomiti Fruit S.r.l., laddove quest’ultimo risultava essere legale rappresentante della Dolomiti Fruits Service e il sequestro lo aveva attinto, per equivalente, nella misura di euro 532.529,98 e non di euro 2.408.257,26. Il ricorso è pertanto fondato e si impone l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata per nuovo giudizio al tribunale di Pisa”. Errore rimediato che ora una nuova udienza del Riesame dovrà sancire.

L’inchiesta

Secondo quanto emerso nel corso delle indagini, il prodotto era ottenuto da aziende formalmente localizzate in Serbia e in Croazia, ma di fatto gestite direttamente dall’Italia da due fratelli imprenditori pisani, collocati al vertice di un’associazione a delinquere che poteva contare sulla collaborazione attiva dei propri dipendenti e altri soggetti esteri compiacenti, ognuno con un ruolo specifico nell’intera filiera della frode. L’organizzazione criminale si articolava su diversi livelli gerarchici con il diretto intervento di soggetti prestanome in territorio nazionale ed estero. Sempre secondo quanto emerso in sede d’indagine, sarebbero stati prodotti e commercializzati ingenti quantità di succo di mela non biologico, ma dichiarato come tale, nel territorio dell’Unione europea.

Grazie all’interposizione fittizia di aziende croate che provvedevano a sdoganare il prodotto in realtà ottenuto in Serbia, venivano prodotti innumerevoli falsi documentali finalizzati a legittimare (solo sulla “carta”) la falsa natura, qualità e origine dichiarata del prodotto. Il lavoro degli investigatori ha permesso di dimostrare che i succhi di mela ottenuti in Serbia erano prodotti in modo illecito partendo da frutti non idonei all’alimentazione umana in quanto deteriorati o in avanzato stato di decomposizione, anche per l’elevata presenza di micotossine; contaminati con prodotti chimici non ammessi in agricoltura biologica (fungicidi, insetticidi ed erbicidi). Inoltre, il prodotto veniva sofisticato aggiungendo al succo base acqua e zuccheri di diversa qualità, conferendo così al prodotto finito un profilo chimico il più possibile simile a quello della mela, con il fine di depistare eventuali controlli ufficiali.

Il sodalizio criminale non si è limitato alla sola contraffazione del succo, ma ha prodotto innumerevoli falsi documenti per conferire al succo di mela la certificazione di prodotto biologico e di provenienza europea nonché per evadere le imposte mediante l’esterovestizione di imprese satelliti, costituite in Croazia e Serbia, ma di fatto gestite direttamente dall’Italia. Le aziende coinvolte sono la Italian Food Srl di Portici (Napoli) e stabilimento a San Miniato, all’epoca amministrata da Walter Buonfiglio; la Green profit Tuscany, sede a Fisciano (Salerno); Bio Toscana Srl, sede legale a Portici e operativa a San Miniato, al tempo amministrata da Giorgio Buonfiglio; Dolomite Fruits Srl di Trento, amministrata da Franz Schweigkofler e Dolomite Fruits service srl di Alessandro Cammelli. Ora al via la fase dibattimentale del procedimento giudiziario a carico degli imputati.