“La versione della donna appare spesso contraddittoria”, il processo è da rifare

Il 70enne di San Miniato era stato condannato per tentata estorsione aggravata ai danni della ex moglie
Sembra volgere al termine la personale odissea giudiziaria e umana di un 70enne di San Miniato. L’uomo era stato condannato per tentata estorsione aggravata ai danni della ex moglie, all’epoca della separazione e poi del divorzio, a 2 anni di reclusione e 2mila euro di multa ma per la Cassazione il processo è da rifare.
Molti infatti i punti poco chiari secondo gli ermellini che hanno accolto il suo ricorso. L’uomo era stato condannato prima dl gup di Pisa nel 2012 e poi dalla corte d’Appello di Firenze nel 2019 ma nei giorni scorsi la Cassazione ha annullato tutto rinviando ad altra sezione per un nuovo giudizio di secondo grado che dovrà tenere conto, inevitabilmente, delle indicazioni fornite in sentenza. I suoi legali hanno messo in dubbio l’attendibilità della ex moglie che lo aveva denunciato, delle sue dichiarazioni ritenute illogiche e prive di fondamento e riscontri e della mancanza di motivazioni congrue delle sentenze di condanna.
E il dubbio è venuto anche ai giudici della suprema corte in ordine a tutte le richieste della difesa. Le condanne si basavano infatti sulle denunce della ex moglie e sulla sua ricostruzione dei fatti. La donna infatti in quel periodo storico legato a forti conflitti che poi hanno portato la coppia prima alla separazione e poi al divorzio aveva denunciato l’ex marito di tentata estorsione aggravata perché poco prima di andare da un notaio ad Empoli l’uomo l’avrebbe minacciata con una pistola per costringerla a fare un passo indietro rispetto a una proprietà che stava per essere ceduta con regolare atto notarile. Sul posto erano arrivati i carabinieri e da lì era partito l’iter processuale che lo aveva visto condannare in primo e secondo grado a 2 anni di reclusione e 2mila euro di sanzione. Ma proprio sulla pistola gli ermellini hanno iniziato a ricostruire in tutt’altro modo la vicenda. L’arma era stata ritrovata ma nella cassaforte della sua abitazione dove l’imprenditore la custodiva a seguito di regolare porto d’armi.
Ma qualcosa non quadra nel racconto della donna anche agli occhi dei giudici di Piazza Cavour. I tempi non sono compatibili, e come affermano i legali manifestamente illogici. Secondo la donna l’ex marito avrebbe tirato fuori la pistola ad Empoli poi successivamente approfittando di un ritardo del notaio sarebbe andato a casa a rimetterla in cassaforte per poi tornare ad Empoli, il tutto in poco più di 50 minuti. Non torna. Scrivono infatti i giudici della Cassazione in sentenza: “L’affermata compatibilità dell’allontanamento dell’imputato, stimato in meno di un’ora, con il raggiungimento della propria abitazione al fine di riporre l’arma in cassaforte per fare subito dopo ritorno in Empoli, sotto lo studio del notaio, si fonda su dati apodittici e contrastanti. Il primo giudice ha indicato la distanza fra lo studio notarile e l’abitazione dei coniugi in San Miniato in circa 40 chilometri complessivi, fissando tra le 16,55 e le ore 17,49 il periodo temporale utile al viaggio.
La sentenza impugnata, tenendo fermo il termine iniziale, ha indicato alle ore 17,39 la telefonata del prevenuto alla moglie, nel corso della quale l’apparecchio ha agganciato una cella ubicata in Empoli e posta a servizio di diversi comuni. Secondo gli estremi indicati dalla Corte territoriale il lasso temporale a disposizione dell’imputato risulterebbe sensibilmente inferiore all’ora, dato meritevole di considerazione, tanto più alla luce dell’assenza di indicazioni circa l’incidenza del traffico sui tempi di percorrenza. V’è da aggiungere che la prova della sussistenza dell’aggravante spetta, secondo i consueti canoni probatori, all’accusa, non potendo connettersi valore assorbente all’assenza di spiegazioni da parte dell’imputato circa l’utilizzo del tempo di cui si discorre”.
Ma c’è di più. Gli ermellini spiegano anche che la versione della donna appare spesso contraddittoria e che visto l’astio del periodo che c’era tra i due bisognava effettuare verifiche più rigorose. Le sole dichiarazioni della parte offesa che è anche parte civile nel procedimento penale non sono sufficienti a condannare oltre ogni ragionevole dubbio. Si legge infatti in sentenza: “Le dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone, e, nel caso in cui la persona offesa si sia costituita parte civile, può risultare opportuno procedere al riscontro di tali dichiarazioni con altri elementi. Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di Appello di Firenze”. Processo da rifare dunque e si aprono scenari differenti da quelli tracciati finora. Si vedrà.