Mafia e affari in provincia di Pisa, boss condannato per riciclaggio

Nel mirino alcune proprietà in Toscana
Boss di Secondigliano condannato in via definitiva a 14 anni di reclusione per associazione a delinquere di stampo mafioso e riciclaggio. L’uomo, Antimo Liccardo, 70 anni di origini campane, era stato arrestato nel 2018 dalla Dda fiorentina su richiesta della Dda di Napoli e successivamente condannato in abbreviato dal gup partenopeo. Per gli inquirenti, l’ex dipendente comunale di Giugliano, era in realtà il referente del potente clan di camorra Mallardo di Secondigliano, e su invito del mammasantissima della cosca napoletana era venuto in Toscana per investire e riciclare il denaro provento del traffico di stupefacenti nell’edilizia.
Un giro d’affari da decine di milioni di euro l’anno. In particolare, sempre secondo i magistrati antimafia, l’uomo avrebbe agito attraverso due società, ora in liquidazione da circa un anno e mezzo, per fare affari nel settore immobiliare e nell’edilizia in più Comuni della Toscana dove risultano proprietà riconducibili alle due società poi fallite. Si tratta di immobili nei comuni di Figline Valdarno, Montevarchi, Incisa, Reggello, Pisa, Barga e Pietrasanta. Tutti acquisti perfettamente puliti e legali se non fosse che i soldi provenivano da uno dei clan di camorra più pericolosi. La cosiddetta mafia dei colletti bianchi, infatti, non fa mai rumore e agisce nell’ombra per fare affari e riciclare il denaro sporco per farlo diventare candido come la neve. Questo lo scopo del clan che gli inquirenti hanno potuto verificare attraverso indagini diversificate, anche di tipo patrimoniale, e avvalendosi pure dei racconti di alcuni pentiti di camorra. L’operazione della Dda partenopea che portò all’arresto di Liccardo contro il clan Mallardo aveva portato in manette anche altre 18 persone giudicate, tra cui anche politici, con diversi esiti e procedure in altri procedimenti penali. L’uomo nei giorni scorsi è stato riconosciuto colpevole e condannato definitivamente dalla suprema corte di Cassazione che ha respinto il suo ricorso contro la condanna del 2020, condannandolo anche alle spese processuali.
Si legge infatti in sentenza: “Quanto all’altra circostanza aggravante, oltre a quella mafiosa, del cosiddetto reimpiego o riciclaggio, il ricorso si rivela generico, così come l’atto di appello, a fronte delle indicazioni contenute fin dalla sentenza di primo grado, laddove il gup aveva messo in evidenza come le imponenti attività economiche del clan Mallardo gestite dal ricorrente e non soltanto da lui ma comunque da egli conosciute avessero creato una situazione di monopolio e di controllo del territorio specie con riguardo al settore delle compravendite immobiliari in Campania e in Toscana. Nel che, non solo la prova che il clan Mallardo avesse una consistente dimensione imprenditoriale, ma anche che alla gestione di questo specifico ed importante ramo di azienda fosse adibito proprio il ricorrente, il quale, in forza di ciò, si vedeva riconosciuto ed aveva assunto un ruolo organizzativo di spicco all’interno del sodalizio in ragione di quanto già detto trattando dei precedenti motivi. La decisione dei giudici di merito è conforme ai principi di diritto. Il ricorso è infondato”. Nella sentenza ci sono anche altri passaggi che lascerebbero intendere che possano esistere altri filoni d’inchiesta in Toscana. In uno di questi passaggi, relativi ad alcune intercettazioni ambientali e telefoniche, confermati anche da alcuni collaboratori di giustizia, gli ermellini scrivono: “In esso, i due interlocutori discutevano degli investimenti effettuati dal ricorrente in Toscana, di progetti immobiliari e di cifre in danaro riferibili anche ad altre persone, che non avrebbero avuto agio di prendere la loro parte senza che il ricorrente avesse a ciò accondisceso (più volte la sentenza del gup distrettuale sottolinea la frase proferita dall’imputato: qui non si prende niente nessuno senza il nostro permesso. Offrendo tale dato, non richiamato in ricorso, la Corte fornisce un elemento dimostrativo formidabile della correttezza della tesi accusatoria”. Questo procedimento giudiziario si è concluso, le indagini e le inchieste per contrastare anche in Toscana tutte le attività e i business delle mafie, continuano, invece, e su vari fronti e in diversi settori. Stare dietro a boss e picciotti, alleati, complici e conniventi specie quando ci sono di mezzo milioni di euro non è mai semplice.