Cipressi abbattuti a Bucciano, la rabbia di Federcaccia: “Giglioli passi per vie legali”

“Non c’è più traccia delle piante, che hanno un alto valore economico”. Le richieste: la Consulta e modificare il regolamento di polizia rurale
“Verificare dove sono state portate le piante, visto che da un nostro sopralluogo, non ce n’è più traccia. È ben noto il valore economico di piante di Cipresso”. Così Federcaccia San Miniato torna sulla vicenda dei cipressi tagliati a Bucciano e gettati nel fondovalle, ma ora rimossi. “Non possiamo non intervenire su questa inverosimile vicenda che non può finire con pochi articoli sul giornale e passare nel dimenticatoio”. Lo dice la Federcaccia San Miniato “a cui – precisa il segretario Piero Taddeini – sta a cuore, non solo la difesa dei diritti del mondo venatorio, ma anche l’ambiente ed il territorio in generale”. “C’è la necessità – ribadiscono da Federcaccia – di attuare con la massima urgenza tutti i percorsi necessari affinché questo tipo di abusi sia definitivamente perseguito ed evitato”. Per questo l’associazione venatoria torna a chiede una consulta con cacciatori, tartufai e agricoltori e una revisione del regolamento di polizia rurale.
“Condividiamo e appoggiamo le affermazioni indignate del sindaco – ha detto il segretario Taddeini -, invitandolo a procedere con i mezzi consentiti al fine di chiarire e dare un forte esempio per una buona gestione. Lo sollecitiamo, altresì attraverso il supporto, quindi alla costituzione da noi più volte sollecitata, della Consulta, costituita dalle associazioni dei cacciatori, dei tartufai e degli agricoltori, affinché il monitoraggio del territorio diventi strumento di buona gestione e importante riferimento per l’amministrazione comunale di San Miniato. Invitiamo il sindaco a convocarci per procedere alla rivisitazione del regolamento di polizia rurale, nel quale non si parla, ad esempio, di salvaguardia del cipresso, ma si fa parziale riferimento a determinate piante. Ci rivolgiamo all’Enel quale gestore e responsabile della manutenzione delle linee elettriche, che ha permesso ad aziende di effettuare interventi radicali contravvenendo quanto stabilito dal regolamento forestale della Toscana, come recita la Sezione II – Tutela delle piante forestali non ricomprese nei boschi, Art. 55 – Ambito di applicazione e Art. 56. Invitiamo, poi, il Comune ed Enel spa a consultare la decisione del Tribunale di Tempio Pausania in una recente sentenza n. 294 del 17 marzo 2017 in merito ad un caso simile”.
“Per di più – proseguono da Federcaccia -, la stessa legge impone al gestore della rete elettrica alcuni accorgimenti che, nel caso concreto, l’Enel non ha affatto rispettato: infatti, ha effettuato gli abbattimenti senza richiedere la collaborazione del proprietario degli alberi che avrebbe potuto consigliare un taglio meno dannoso. Non ha tenuto conto che, nell’ipotesi di una zona con quelle caratteristiche di interesse artistico e ambientale, non era necessario un taglio così profondo e così invasivo: il rischio di malfunzionamenti ed interferenze avrebbe potuto essere ridotto comunque con un’opera più limitata ed attenta alla tutela di alberi dal notevole interesse naturalistico e paesaggistico. Questo tipo di interventi, seppur necessario, viene effettuato spesso senza un minimo criterio operativo e senza avere rispetto verso l’ambiente, la storia, la cultura di una comunità, di un paese perdendo di fatto quel minimo accenno al senso di responsabilità nell’agire. Il territorio comunale è attraversato da numerose linee elettriche, molte delle quali sovrastano boschi. Nella nostra attività venatoria, ci imbattiamo costantemente in scempi ambientali-naturalisti di abbattimento di ogni tipo di pianta, in particolare lungo le linee elettriche, dove vengono lasciate in loco sotto forma di informi e pericolosi monti di arbusti potenziali vettori di incendi, una volta essiccati. Lo scempio è amplificato se si considera lo spreco di legname perpetrato”.
Una rabbia che viene mossa anche dai significati storici, culturali e poetici di cui è portatore il cipresso. Significati che la Federcaccia ricostruisce in un excursus storico: “La diffusione del cipresso nel paesaggio è il risultato di tradizioni di origine antica, legate alla sua funzione simbolica e alle diverse forme di utilizzo, tramandate per generazioni e trasformatesi nel corso del tempo. In Toscana il cipresso assume un ruolo insostituibile nella caratterizzazione del territorio, profondamente legato alla vita e al lavoro della sua gente. Il cipresso, originario del Mediterraneo orientale, è stato diffuso in Italia centrale da etruschi e Romani. Il cipresso viene riportato come pianta ornamentale già nei giardini dell’antica Persia. I Romani lo apprezzarono come elemento di arredo di ville, giardini, viali, monumenti e luoghi sacri. Dal ‘400 il cipresso trova ampio spazio nel ‘giardino all’italiana’ e viene utilizzato per disegnare l’architettura di molti giardini e parchi in forma di viale, selvatico, labirinto. Tra la fine dell’800 e i primi decenni del ‘900 molti paesaggisti lo utilizzarono in architetture vegetali e per ridisegnare il paesaggio. Il cipresso esercita da sempre una funzione importante nei siti religiosi e monumentali. I persiani vi coglievano l’immagine evocatrice della fiamma e del fuoco e quindi della vita e dell’immortalità. I greci lo consacrarono a Plutone, dio dell’oltretomba, ma lo considerarono anche simbolo di fertilità. I Romani, per la forma pura ed essenziale della chioma che si staglia verso il cielo, lo considerano come albero funebre che trasmette sacralità e dona ombra e senso di pace nei luoghi di culto e nei cimiteri. In Toscana, il cipresso riprende la veste di albero della vita e dell’eternità, come nell’antica Persia. Il poeta Giosuè Carducci elesse i cipressi ‘alti e schietti’ a simbolo di valore morale e nobili ideali. Tradizionalmente usato in Toscana per la segnalazione di strade, incroci, ostelli, chiese, il cipresso esercita in questa veste una forte caratterizzazione del paesaggio. Vecchie strade di campagna corrono lungo le dorsali collinari per unire coloniche isolate o borghi. In virtù della sua longevità, secondo un’usanza già diffusa ai tempi dei Romani, il cipresso è stato usato come segnale di confine tra fondi adiacenti e appare spesso isolato nella campagna. Plinio il Vecchio riporta dell’utilizzo del cipresso nei lavori agricoli per separare i filari dei frutteti e per sostenere la vite. Il cipresso veniva impiegato anche come sostegno dei pagliai dopo avervi asportato i rami. I cipressi intorno alle coloniche sono testimoni dell’antica usanza secondo cui le famiglie patriarcali piantavano un esemplare vicino alla casa in occasione della nascita di ogni figlio. Questa consuetudine riprende quella diffusa in epoca Romana, secondo la quale veniva piantato un boschetto di cipressi alla nascita di ogni fanciulla perché con il tempo andasse a costituire la sua dote”.
“Invitiamo – chiedono infine – il sindaco a perseguire legalmente coloro che hanno infranto i principi di legge che regimano questi interventi. Invitiamo il sindaco a perseguire legalmente coloro che oltre ad infrangere la legge, hanno distrutto cultura, storia, tradizione, ambiente. Soprattutto vogliamo porre l’attenzione del sindaco e del proprietario, a verificare dove sono state portate le piante, visto che da un nostro sopralluogo, non ce n’è più traccia. È ben noto il valore economico di piante di Cipresso. Pertanto, e con tali premesse, si rende ancor più indispensabile e sollecitiamo il sindaco a convocare ed istituire, con la massima urgenza, la Consulta che, visto gli accadimenti sempre più frequenti nel nostro territorio, si rende uno strumento indispensabile”.