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Cronaca
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Benzina d’oro: frode nel settore carburanti. Sequestrate 3 società, conti e veicoli per 14 milioni di euro

1 giugno 2020 | 14:15
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Benzina d’oro: frode nel settore carburanti. Sequestrate 3 società, conti e veicoli per 14 milioni di euro
Benzina d’oro: frode nel settore carburanti. Sequestrate 3 società, conti e veicoli per 14 milioni di euro
Benzina d’oro: frode nel settore carburanti. Sequestrate 3 società, conti e veicoli per 14 milioni di euro
Benzina d’oro: frode nel settore carburanti. Sequestrate 3 società, conti e veicoli per 14 milioni di euro
Benzina d’oro: frode nel settore carburanti. Sequestrate 3 società, conti e veicoli per 14 milioni di euro
Benzina d’oro: frode nel settore carburanti. Sequestrate 3 società, conti e veicoli per 14 milioni di euro

Secondo le indagini della Guardia di finanza, benzina e gasolio venivano “tagliati” con altro in un deposito dichiarato fallito

La loro base logistica era nel pisano, in un deposito di Crespina. Mischiavano sapientemente prodotti oleosi a gasolio così da evadere le accise sui carburanti attraverso una serie passaggi societari e falsificazione di marchi e documenti. Sulla carta gli olii lubrificanti diventavano a tutti gli effetti gasolio che poi finiva nei serbatoi delle macchine degli ignari consumatori. Sei milioni e mezzo di accisa evasa per un totale di quasi 10 milioni di litri di prodotto sottratto alle imposte sul carburante. Sono questi i numeri piuttosto significativi della maxi-fronde nel settore del contrabbando di carburanti scoperta dall’attività investigativa del nucleo di polizia economica finanziaria della Guardia di finanza di Pisa e dall’ufficio antifrode della direzione IV dell’Agenzia delle dogane, con la collaborazione dell’ufficio delle dogane di Pisa. È stata presentata oggi, lunedì primo giugno, dal procuratore di Pisa Alessandro Crini l’operazione Petroloro , proprio mentre le perquisizioni continuavano nelle ville e nelle società dei convolti.

Altrettanto importanti sono i numeri dell’attività della guardia di finanza: sono state eseguite 20 misure cautelari personali disposte dal giudice per le indagini preliminari del tribunale di Pisa tra le province di Napoli, Caserta, Prato e Livorno. Dodici di queste sono ordinanze di custodia cautelare, tra cui una, per il capo della banda, in carcere. Le altre otto sono misure coercitive obbligatorie di cui sette obblighi di dimora e un obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria. Ingenti sono i numeri dei sequestri: 3 società, 20 conti correnti, 103 tra auto, rimorchi, cisterne e moto per un valore complessivo di circa 14 milioni di euro.

Tra i 20 colpiti dalle misure cautelari, per la maggior parte campani, ci sono tre toscani che a vario titolo si occupavano della gestione del deposito di Crespina: un uomo residente a Firenze con obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria, uno residente a Livorno con obbligo di dimora e una donna di Prato che si occupava dell’aspetto amministrativo contabile e adesso ai domiciliari.

Le lunghe e laboriose investigazioni hanno permesso di individuare l’intera organizzazione, dal vertice ai contabili, dai responsabili in loco dei vari depositi ai numerosi trasportatori, dai molteplici prestanomi delle società ai compilatori dei documenti falsi. Le ipotesi di reato contestate sono associazione a delinquere, autoriciclaggio, sottrazione fraudolenta all’accertamento o al pagamento accisa (contrabbando), ricettazione, bancarotta fraudolenta, falso e contraffazione, responsabilità amministrativa da reato.

Quello che emerge è una vera e propria organizzazione con ruoli diversificati al proprio interno: il capo, i luogotenenti, i contabili, i responsabili dei depositi e gli autisti. Dei professionisti che sapevano di esserlo, tanto che le intercettazioni telefoniche hanno rivelato come i componenti del gruppo di fregiassero di essere degli esperti contrabbandieri.

Come si muovevano
La rete di contatti dell’associazione a delinquere si muoveva da nord a sud dello Stivale, ma varcava anche i confini nazionali. I prodotti oleosi veniva da alcune città del nord come Bergamo o Milano e da paesi come Germania, Slovacchia e Austria. Da lì venivano trasportati in autocisterne e, durante il tragitto, appoggiandosi a un autogrill vicino a Rho modificavano la documentazione per il trasporto sui quali è stato apposto anche il timbro dell’Ufficio delle Dogane abilmente falsificato. La guardia di finanza ha monitorato questi spostamenti, individuando l’autogrill, fotografando la documentazione veniva lasciata nei bagni di servizio, in modo tale da comprendere più a fondo anche la struttura dell’organizzazione. Una volta falsificata la documentazione le autocisterne arrivavano nei depositi, prima a Crespina, poi anche in provincia di Verona, Mantova e Caserta.

Quello di Crespina era il cuore dell’organizzazione, da dove, poi, sono anche partite le indagini. Il lavoro della guardia di finanza è iniziato a gennaio 2019 con un controllo in strada vicino al deposito pisano. “Tiriamo le fila dopo l’estate, verso novembre – ha detto il procuratore Crini -. Quindi in pochi mesi di attività sono stati evasi 6 milioni e mezzo di accise per 10 milioni di litri che grosso modo corrispondono al fabbisogno del nostro territorio su base annua. E questi probabilmente sono numeri che dovremo arricchire”. Tra l’altro, l’organizzazione ha gestito il deposito pisano per le proprie illecite attività anche dopo la dichiarazione di fallimento della società titolare della relativa licenza fiscale: condotta per la quale agli affiliati è stata contestata anche la bancarotta fraudolenta. Nel mese di dicembre il deposito di Crespina viene chiuso e da quel momento la banda si riorganizza appoggiandosi in altre province d’Italia.

Proprio i depositi sono i luoghi in cui la miscelazione avveniva, avvalendosi, tra l’altro, di persone esperte, probabilmente chimici che conoscevano molto bene le sostanze che maneggiavano. I chimici dell’agenzia delle dogane che hanno analizzato le sostanze hanno appurato che in alcuni casi veniva impiegato olio fino al 50 per cento del quantitativo. In sostanza era metà gasolio e metà sostanze altre che possono avere ricadute ambientali, ma anche sugli stessi veicoli, oltre a causare l’evidente danno erariale a cui bisogna aggiungere il mancato pagamento dell’Iva. Questi prodotti oleosi, non soggetti ad imposte sui carburanti, erano difficili da scovare durante i normali controlli stradali, dato che la banda, in caso di accertamenti, teneva nascosta una bottiglietta di gasolio buono pronta da esibire.

Finita la fase di preparazione delle miscela si passava alla vendita al cliente. A questo livello delle indagini resta da appurare la consapevolezza o meno del cliente sulla provenienza illecita del gasolio che acquistava. Per la commercializzazione del prodotto sottratto all’imposta e frutto della miscelazione di olio con gasolio e benzina, sono state utilizzate diverse società, risultate essere mere “cartiere”, conil solo scopo di consentire all’organizzazione di emettere fattura ai clienti e incassare i pagamenti da essi disposti. I proventi dell’illecita attività sono stati reimpiegati nel traffico di prodotti energetici di “contrabbando”, per cui agli associati è stato contestato anche il reato di autoriciclaggio. È, inoltre, emerso che uno dei principali clienti dell’organizzazione ha immesso in commercio il prodotto, nella piena consapevolezza dell’avvenuta sottrazione all’accisa e della reale natura dello stesso. Il soggetto è stato, pertanto, indagato in ordine al reato di ricettazione.
L’attività illecita, considerato il volume di prodotto illegalmente commercializzato, ha causato anche un’inevitabile distorsione del mercato, penalizzando operatori onesti già provati dalla grave crisi che ha colpito il settore. Anzi, è stato accertato che l’associazione a delinquere, all’indomani dell’emergenza nazionale legata al Covid-19, ha incrementato sensibilmente i traffici illeciti, sfruttando i prezzi concorrenziali del prodotto commercializzato e la libera circolazione dei beni di prima necessità, tra i quali rientrano anche i carburanti.

Le parole del procuratore
“È stata un’indagine con una situazione gestionale non semplice – ha detto il procuratore Alessandro Crini – dovuta al momento particolare e al fatto che i soggetti non sono del nostro territorio. Ottimo risultato in un settore significativo per la rilevanza in sé della vicenda e per alcune sottolineature. L’elemento più saliente è che il giudice per il indagini preliminari ha ritenuto che ci fosse una caratterizzazione associativa. E questo non è un fatto da poco. È un reato associativo, ma i soggetti coinvolti non hanno un legame particolare con il territorio e questa è una cosa che colpisce. Si caratterizza dal dinamismo delinquenziale e criminale del contrabbando di prodotti che assomigliano al gasolio ma non lo sono. Per quantitativi eccezionali. C’è una misura cautelare in carcere per quello che è considerato il capo della banda, numerose misure cautelari con arresti domiciliari.

Storia nasce dal controllo di un automezzo e prende forma con le consuete indagini per dimostrare l’esistenza di un rilevante traffico di un prodotto manipolato in un deposito nella nostra zona che poi diventa gasolio. Questo avveniva con la predisposizione di documenti di trasporto fasulli che permettevano di assicurare al trasporto un minimo di apparente regolarità. Dal punto di vista fiscale l’abbattimento su questi prodotti è consistente e si considera che il reato che si commette eludendo questo tipo di imposta è il reato di contrabbando. Quindi parliamo di una associazione per delinquere che fa contrabbando di materiale lavorato e trasformato e poi rivenduto. Al di là che la ricettazione segnala, secondo noi, la consapevolezza da parte dell’acquirente della provenienza illecita stiamo approfondendo la filiera in modo dettagliato.

Sono cifre significative e oltretutto prudenziali. Anche i trasportatori venivano pagati abbastanza rispetto alla paga normale proprio perché era un trasporto non esente da rischi. L’organizzazione era strutturata con un capo, coloro che trasportano, chi tiene la cassa, lo facevano di lavoro. Sicuramente non è figlia dell’emergenza sanitaria, l’indagine nasce prima. Tuttavia, proprio l’emergenza sanitari ha messo in evidenza come l’organizzazione abbia saputo muoversi in condizioni eccezionali e come l’emergenza abbia scatenato appetiti illeciti. Questo caso dimostra in qualche misura la possibilità che un determinato territorio venga occupato criminalmente. Questo è un gruppo di soggetti appartenenti in massima parte all’area campana senza legami con il territorio. Sono arrivati qui solo per alcune condizioni che lo rendeva preferibile ad altri”.