Meningite, il killer viaggia in Fipili. Vaccinazioni a metà

I medici lo hanno chiamato con una sigla: ST11. Un nome poco rappresentativo della sua identità, quella di un sottogruppo del meningococco C, ovvero il batterio che negli ultimi due anni in Toscana soprattutto nella Toscana del nord, tra Firenze e la costa, lungo le direttrici della Fipili in prevalenza, ma anche dell’A11, ha causato vari episodi di meningite. Di frequente tra l’Empolese, la Valdelsa e il Valdarno rivelatasi mortale o comunque tanto grave da compromettere in modo irreversibile parte dell’organismo umano. Appena arrivata la stagione fredda, non ha tardato a colpire nuovamente: l’ultimo caso oggi in Valdicecina, dopo quello di pochi giorni fa a Cascina. E’ in rianimazione a Livorno la studentessa 20enne che si è presentata nella serata di ieri 14 novembre all’ospedale di Cecina.
I medici, da due anni, cercano di fermarlo o quanto meno di attenuarne gli effetti con una strategia che parte dalle vaccinazioni messe a punto circa un anno fa, ma il piano è riuscito a metà come spiega Gabriele Mazzoni, responsabile dell’unità operativa dell’ex asl 11 oggi Asl area vasta Toscana Centro. “Sicuramente quest’anno dovremmo avere degli effetti più attenutati – precisa -, certo è che speravamo di arrivare alla stagione fredda 2016/17 con almeno un milione e mezzo di persone vaccinate in Toscana, in realtà ad oggi abbiamo vaccinato circa 600mila soggetti. Questo è comunque un risultato importante, visto che la vaccinazione è l’unico strumento che abbiamo per fermare o comunqe attenuare gli effetti dell’infezione da meningococco.
Nella zona a rischio della Asl centro (in particolare tra l’Empolese Valdelsa e il Valdarno inferiore, ndr), siamo un po’ più alti come tasso percentuale di vaccinati anche se la copertura non è ancora ottimale, molte persone non hanno aderito. Immagino che anche dalle altre parti della Toscana il numero dei vaccinati non sia sufficiente a farci stare totalmente tranquilli. In tutto questo però c’è un dato positivo e importante che con le vaccinazioni fatte quindi su oltre la metà della popolazione interessata dalle campagne, diminuisce fortemente la possibilità di circolare del meningococco ST11. Consideriamo che comunque la fase in cui potenzialmente il meningococco è più aggressivo è quella tra la fine di dicembre e la primavera, quindi abbiamo ancora un mese per continuare a vaccinare le persone e renderle immuni o comunque resistenti. Questa è l’ultima occasione per sottoporsi ad una vaccinazione che sia efficace per la stagione più fredda”.
La vaccinazione non garantisce l’immunità dal meningococco ST11, ma permette all’organismo di attenuare gli effetti dell’infezione menigococcica: anche i recenti casi, quello di Prato e quello della bambina di Cascina erano persone che si erano sottoposte a vaccinazione e sono usciti praticamente illesi dall’infezione. Un vaccino atipico rispetto all’idea comune che abbiamo: “Il vaccino – spiega Mazzoni – contro il meningococco TS11 non garantisce nella prassi l’immunità totale per la natura del batterio. ST11 è una mutazione del comune ceppo C. Nel mutare ha sviluppato la caratteristica di riuscire a scatenare una forte virulenza, ovvero una volta raggiunte le meningi in pochissime ore fa scattare l’infezione, la sepsi menigococcica. Proprio la sua rapidità di azione una volta raggiunte le meningi non permette al sistema immunitario di reagire prima che arrivi la sepsi con i classici sintomi primo tra tutti la febbre altissima. Quindi è un problema di tempi. Per attivare le difese immunitaria specifiche contro la meningite, all’organismo serve più tempo di quanto non ne impieghi il batterio a infettare. Il fatto di avere una memoria immunitaria elevata indotta dal vaccino con tanti anticorpi, in grado di contrastare il batterio però abbassa drasticamente la possibilità di sviluppare la malattia in quanto l’organismo lo può riconoscere il meningococco prima che possa causare l’infezione e anche se questo non avviene avere il vaccino aiuta a ridurre la gravità dell’infezione perché l’organismo è già in parte in grado di contrastarla da solo con una risposta immunitaria specifica”. Quindi vaccinarsi è sempre importante ed ecco perché alle volte si ammalano anche le persone vaccinate pur riportando una patologia meno grave, un discrimine che può salvare la vita.
In qualche modo quindi gli anticorpi prodotti con la vaccinazione, se pur intervengono dopo lo sviluppo della sepsi, diventano alleati dei medici fornendo una risposta immunitaria che concorre alla guarigione. Per semplificare il concetto è come avere due eserciti che combatto insieme contro un aggressore invece che la sola armata della cure antibiotiche.
Perché il vaccino funzioni, però, serve una memoria anticorpale elevata, bisogna che nell’organismo ci siano molti antigeni o anticorpi e questo si ottiene dopo un certo tempo, alcune settimane, dalla vaccinazione. In sostanza quindi curare un persona vaccinata anche se dovesse sviluppare l’infezione è sicuramente più facile che intervenire con un soggetto che non è mai entrato in contatto con il meningococco e quindi è disarmato di fronte ad un’eventuale infezione.
“La vaccinazione – spiega ancora il medico – non dà una memoria immunitaria permanente, è da ripetere nel corso della vita per avere sempre un elevato numero di anticorpi contro TS11, un po’ come accade per il tetano che periodicamente deve essere rinnovato”.
Il vaccino però è un alleato dei medici anche dal punto di vista epidemiologico, ovvero se si valuta la malattia dal punto di vista dei grandi numeri statistici che coinvolgono tuta la popolazione e della sua trasmissibilità come spiega Mazzoni: “Avere una popolazione vaccinata rallenta fortemente il contagio e la presenza del batterio. Tra i bambini e gli adolescenti in Valdarno abbiamo raggiunto una tasso di vaccinazione che è quasi la totalità della popolazione in quella fascia di età. Questo è un ottimo risultato perché di qui a pochi anni avremo una popolazione praticamente resistente a ST11. La battaglia, infatti, non si combatte sui singoli casi ma sull’intera popolazione: se tutti fossero vaccinati la possibilità di persistenza del batterio nella popolazione sarebbe fortemente ridotta e quindi anche la probabilità dei singoli di contrarre l’infezione”.
Il modo di operare del meningococco ST11 è singolare anche dal punto di vista epidemiologico. Sicuramente la stagione fredda è quella dove riesce a operare meglio, ma non si comporta come un’infezione da comunità o comunque la capacità di passare il contagio da un individuo all’altro è abbastanza bassa e inoltre ogni volta che si manifesta un caso di sepsi da meningococco, scatta la profilassi antibiotica per tutti i soggetti che hanno avuto contatti con il paziente nelle ore precedenti all’infezione. Questo abbatte drasticamente la possibilità di contrarre la malattia. I casi dell’inverno 2015-16 lo dimostrano: ci sono stati casi di persone che prima di ammalarsi avevano vissuto in comunità o partecipato ad eventi pubblici molto affollati e nessuno è stato contagiato.
Il meningococco del resto è presente nella cavità nasali di moltissime persone. In estate è meno frequente, in inverno si arriva ad avere anche il 60% di persone che hanno il meningococco nella cavità nasali pur non sviluppando la malattia.
A far impennare, se pure si parla di numeri piccoli, i casi di infezione nel periodo freddo è una concomitanza di fattori: “a creare le condizioni perché il meningococco trovi la strada libera per causare una sepsi concorrono vari fattori, il freddo in primo luogo – spiega Mazzoni – contribuisce a debilitare le persone abbassando la risposta anticorpale. Poi c’è l’influenza: una persona che ha superato da pochi giorni il virus influenzale è più debole, infine vi sono una serie di categorie che sono già debilitate a causa di malattie croniche, diabetici, cardiopatici, persone con malattie croniche e soggette a cure quotidiane, sono di base sempre più vulnerabili. In fine una maggiore presenza del batterio. Sono questi i fattori che creano il terreno in cui ST11 va ad agire approfittando di una popolazione meno forte dal punto di vista immunitario. Per questo, avere già degli anticorpi sviluppati attraverso il vaccino è importante e permette di fermare il meningococco prima che faccia danni. Per impedire che si creino negli organismi umani le condizioni che favoriscono l’infezione, è importante che in particolare alcune categorie siano coperte da vaccino: i bambini e i giovani, tutte le persone con patologie croniche o immunodepresse e aggiungerei – precisa Mazzoni – anche le persone adulte e ma ancora giovani. I giovani e i giovani adulti infatti sono soggetti a una maggiore mobilità e rapporti umani e quindi aumentano le possibilità di entrare in contatto con il batterio”.
L’identikit del killer
E’ considerato da biologi e medici una mutazione di suo fratello, il meningococco C che fino a qualche anno fa faceva registrate qualche sporadico caso di infezione nella stagione invernale anche in Toscana. Per i medici è una sorta di ricercato speciale, un killer: se si fosse in questura, sarebbe un tipo da carcere di massima sicurezza e la sua foto sarebbe appesa alla bacheca dei ricercati, ma per ora nessuno è riuscito ad arrestarlo. Un sicario che colpisce in modo fulmineo, venuto fuori da una ricombinazione o mutazione se si preferisce, del Dna batterico, del meningococco del ceppo C, più diffuso dei Paesi nord europei e nord americani, infatti opera quasi esclusivamente nella stagione fredda. La ricombinazione del dna batterico è un processo che in natura avviene continuamente e che è alla base del percorso evolutivo che ha portato fino alla nascita dell’uomo. Il più delle volte le mutazioni sono ininfluenti, poi in alcuni casi modificano il comportamento dei batteri potenziandone alcuni aspetti, nel caso di ST11 ha modificato la rapidità d’azione e l’aggressività in termini di capacità di creare danni all’organismo.
I batteri hanno la possibilità di scambiare frammenti di materiale genetico. L’arma più potente che hanno i medici è il vaccino perché TS11 per quanto sensibile agli antibiotici va fermato prima che possa fare danni all’organismo, meglio non farlo neppure entrare. La strategia dei medici è combattere la malattia su larga scala immunizzando tutta la popolazione a rischio per stili di vita e trascorsi sanitari, in questo modo si togli a ST11 gli spazi vitali. Al momento non esistono altri modi per fermare un patogeno così aggressivo.
ST11 viaggia prevalentemente lungo l’asse della Fipili, tra Pisa e Firenze e fino ad oggi ha colpito con una maggiore incidenza in Valdarno. Il perché al momento non è chiaro così come non sono chiare le sue origini anche se la comunità scientifica propende per l’ipotesi che individua la prima vittima in un turista nordamericano ammalatosi a Firenze alcuni anni fa.
Gabriele Mori