Un progetto per ridurre le cimici, il rimedio naturale è già in azione






Iniziato il lancio in natura di una micro vespa che colonizza le uova. “I veleni lo uccidono, attenzione”
Non è solo una sensazione: è in atto una piccola “invasione” di cimici. Un problema recente per il comprensorio del Cuoio, ma in realtà già noto in nord Italia prima e in Toscana poi, tanto che proprio il Crea di Firenze è capofila di un progetto nazionale (coordinato da Pio Roversi e Giuseppino Sabbatini) che punta a inserire in ambiente il trissolcus japonicus, un antagonista delle cimici asiatiche, quelle striate e marroni per capirci, diventate particolarmente numerose proprio perché prive di un nemico naturale nel nostro ambiente.
“Dobbiamo tenere conto – spiega Valerio Mazzoni, livornese di origine e ora responsabile dell’unità di ricerca della Fondazione Edmund Mach di San Michele all’Adige in provincia di Trento che sta portando avanti proprio il progetto di controllo biologico con la vespa samurai – che di cimici ce ne sono molte specie”. In Italia, dal 2012, c’è anche la cimice asiatica che, a differenza di quella verde, è arrivata dal sud est asiatico prima in America e poi in Italia, a partire proprio dal nord. Si è diffusa con molta velocità, perché essendo specie aliena, non ha contenitori naturali, nel senso che esistono dei parassitoidi (micro vespini) che contrastano le cimici, ma quelli già presenti sul nostro territorio sono specifici per le altre specie. Questi micro vespini depongono le loro uova in quelle delle cimici che, quindi, non si schiudono.
Basta un breve calcolo a comprendere la diffusione di questo animaletto: la femmina della cimice asiatica fa 28 uova alla volta in media ogni 2 settimane fino a circa 4 0 500 uova in una stagione. E’ facile quindi immaginare come, senza un antagonista, la cimice asiatica si sia velocemente diffusa. Il Trissolcus japonicus, il parassitoide della cimice asiatica che è in fase di rilascio, invece, di queste uova ne conquista e corrompe percentuali vicine al 100%.
“Con la Fondazione Mach ci siamo occupati da subito di questa specie, in primo luogo per salvaguardare il settore agricolo, principalmente la frutta e anche la verdura ‘succosa’. Va precisato che le cimici non pungono, non hanno veleni, non irritano, non creano sporco e quindi non sono in alcun modo pericolose per l’uomo. Certo, possono essere fastidiose per chi non ama gli insetti, ma c’è anche da dire che le vediamo a ottobre e novembre, poi non tornano fuori fino a primavera”. Il progetto quindi, punta più che altro a salvare le colture, velocizzando il processo di riequilibrio ambientale della cimice asiatica, da raggiungere in tempi più rapidi rispetto a quelli che si avrebbero in natura.
“Se una cimice nuova arriva in una località diversa non ha un suo vespino specifico che ne limita la diffusione” quindi ci vuole del tempo perché le specie autoctone si adeguino alla nuova arrivata, fino a chi si sviluppi naturalmente un nuovo equilibrio. La natura è brava in questo, ma ha tempi lunghi. “Per questo è nato il progetto: già da questa estate stiamo rilasciando queste vespine in natura per parassitare la cimice asiatica, così da portare in tempi rapidi al riequilibrio della specie. Le micro vespe devono essere specialiste, altrimenti diventano un pericolo per altre cimici: per questo prima di lanciarli abbiamo fatto molti studi in laboratorio e ora siamo convinti che l’introduzione di questa nuova specie non creerà problemi alla nostra biodiversità, in particolare alle cimici verdi”.
Le cimici ci sono tutto l’anno, solo che d’estate tendono a stare all’aperto nell’ambiente, per cercare cibo e riprodursi ed è solo quando le temperature si abbassano che, per svernare come adulti, hanno necessità di nascondersi: la casa e le sue fessure sono perfette. Dentro casa sarebbe troppo caldo: si accontentano di temperature fra 5 e 10 gradi e allora può andare bene una legnaia o un annesso esterno ma anche un pertugio attorno alle case e persino gli spazi delle persiane sono un punto riparato e ottimale.
Tra le colture, mele, pere, pesche sono quelle che risentono in modo più pesante della presenza della cimice, che ne adora il succo. Si salva l’uva da vino, mentre è ancora allo studio ma appare già molto probabile che sia un problema per le olive. “Sull’uva – spiega ancora il ricercatore – non pensiamo sia un problema perché se punge il chicco, la differenza non si nota, specie nell’uva da vino che è quella più diffusa in Toscana. Neppure il sapore cambia: da analisi condotte nelle ricerche, nel mosto non resta quell’odore definito di cimiciato. Per l’olivo è diverso: possono pungere i frutti e determinare una cascola, così si abbassa la produzione e varia l’acidità perché le olive non arrivano più integre al frantoio per fare l’extravergine di oliva, ma su questo gli studi sono ancora in corso”.
Le cimici tendono ad aggregarsi, quindi è facile che in una casa siano un milione e in quelle accanto non se ne veda una. “Questo può creare una situazione di disagio per qualcuno, ma a tenerle fuori basta una zanzariera. Oppure si possono catturare, anche con un aspirapolvere e buttarle in un secchio con del sapone: non nuotano e quindi muoiono. L’importante è non usare veleni o prodotti chimici perché ammazzerebbero più vespini che cimici danneggiando l’ambiente, facendo quindi anche più danno rispetto al fastidio”. Ovviamente senza schiacciarle, per quel tipico odore che tutti conosciamo. In agricoltura si usano anche reti per proteggere gli alberi, oltre a trappole ai feromoni usate in campo agrario dagli agricoltori per il monitoraggio e la cattura.
Con l’idea che i vantaggi dovrebbero essere superiori agli svantaggi, in questo 2020 sono iniziati i “lanci” del vespino Trissolcus japonicus in natura. “Auspichiamo che nel giro di 2 o 3 anni si torni alla normalità”.